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Bolivia a ferro e fuoco, Morales grida al golpe

Come in Ecuador e come in Cile: nemmeno la Bolivia viene risparmiata dall'ondata di malcontento popolare che, a detta del presidente Evo Morales, ha raggiunto le dimensioni del tentato golpe. E lo fa sapere tramite l'agenzia di stampa Abi, filogovernativa: “Denunciamo di fronte al popolo boliviano e al mondo che è in corso un colpo di stato, la destra con l’appoggio internazionale ha preparato un golpe. Voglio innanzitutto dire al popolo boliviano che siamo in stato di emergenza”. Un'etichettatura, quella del golpe, che Morales ha affibbiato alle proteste in corso a La Paz e in altre città boliviane, indirizzate contro le elezioni di domenica scorsa (vinte da lui) che, secondo numerosi movimenti sociali, sarebbero state soggette a brogli per permettere al presidente uscente di restare in carica (lo è dal 2006). Morales non usa toni belligeranti, però, limitandosi ad affermare che la dichiarazione dello stato di emergenza non comporterà repressioni ma un lavoro di “pazienza e umiltà”, perché l'intento del governo è “non entrare nello scontro“.

Il caos

Per le strade e i barrios boliviani, però, la protesta infiamma: i partiti d'opposizione hanno guidato i tafferugli, prendendo d'assalto alcune sedi elettorali e, addirittura, il Tribunale elettorale dipartimentale di Protosì, dove la Polizia è stata costretta ad arretrare davanti alla furia dei manifestanti. Scene piuttosto simili a quelle viste in Ecuador, durante la protesta per il rincaro del carburante, e in Cile, dove la popolazione si è ribellata all'ultimo degli aumenti in ordine di tempo, quello sul trasporto pubblico. In Bolivia, però, la situazione è bollente anche sul piano politico: le opposizioni, con in testa il Comité pro Santa Cruz (città cardine del movimento contrario al presidente in carica), hanno fatto sapere che attenderanno i risultati completi delle elezioni con garanzia di un ballottaggio fino alle 12 del mercoledì, per poi disconoscerne il risultato e investire il rivale di Morales, Carlos Mesa, “colui che i boliviani hanno votato”, ritenuto peraltro dal presidente responsabile di quanto sta accadendo. Una mossa che richiama l'origine delle proteste, scoppiate quando il conteggio dei risultati (che propendeva fortemente per il ballottaggio) scomparve per alcune ore attorno all'83% delle proiezioni, per poi riapparire fortemente sbilanciato a favore del presidente uscente, al quale sarebbe bastato (come per qualsiasi altro candidato) il 50% +1 dei voti.

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