“Vivo e dialogante”. CosƬ padre Federico Lombardi, ex direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha definitoĀ padre Paolo Dall’Oglio, gesuita e fondatore della comunitĆ monastica cattolico-siriaca di Mar Musa, in Siria, scomparso quasi 4 anni fa a Raqqa, in piena espansione del conflitto siriano. Il sacerdote della Compagnia di GesĆ¹ ĆØ stato la figura centraleĀ del pomeriggio del 29 maggio al Centro Astalli, dove il giornalista Riccardo Cristiano ha presentato il libro da lui curato e incentrato proprio su padre Paolo e, soprattutto, sul suo messaggio di speranza, intitolato “La profezia messa a tacere”. Un’espressione sulla quale si ĆØ dibattuto a lungo, tra chi si ĆØ detto convinto dei valori esemplariĀ di riconciliazione e dialogo racchiusi nella sua esperienzaĀ e chi sostiene che vi sia un tentativo tutt’ora in atto di allontanare gli occhi e le orecchie del mondo dalla vicenda del gesuita e dalla sua profetica visione sulla questione non solo siriana ma, piĆ¹ in generale, del Medio Oriente.
Sponde divaricate
Ma cosa intende l’autore con la parolaĀ “profezia”? Qual ĆØ stato, davvero, il valore profetico della sua esperienza sacerdotale ma anche sociale e, in un certo senso, politica nel Paese mediorientale? Dal deserto di Mar Musa alĀ confronto con il fondamentalismo e, allo stesso tempo, con le trattative di pacificazione tra etnie curde e jihadisti, ĆØ la stessa personaĀ di padre Dall’Oglio a essereĀ di per sĆ© profetica, come spiega a In Terris Riccardo Cristiano: “In lui mistica e urgenza di fare si univano. Era un uomo che seguiva un doppio sentiero: quello della mistica e quello dell’impegno sociale, contemporaneamente. E’ chiaro che se noi guardiamo solo l’uno o solo l’altro perdiamo parte della sua profezia cheĀ ĆØ stata, inĀ buona sostanza, che il destino siriano non sarebbe rimasto in Siria. Quella siriana sarebbe stata una ferita al costato dell’umanitĆ e soprattutto del Mediterraneo inteso come mare di dialogo”. Una ferita che, mai come oggi, continua a versare un fiume di sangue del quale, senza rendercene perfettamente conto, non riusciamo ad arginare il flusso. “Noi vediamo che questa ferita sta allargando le due sponde, sta divaricando il Mediterraneo e mettendo in crisi le due sponde,Ā ovviamente insieme ad altre emergenze. Ma quella davvero grande ĆØ che senza la vicenda siriana non avremmo avuto l’Isis. E se noi avessimo affrontato come lui diceva la vicenda siriana, cioĆØ con un intervento umanitario a tutela della popolazione e delle singole persone, non ci saremmo trovati in questa sfida davvero epocale, per la Siria e per tutti noi”.
Ma, in questo quadro, ĆØ anche interessante capire come l’Occidente si ĆØ mosso per tentare una risoluzione della vicenda siriana o se, al contrario, si ĆØ finora latitato nell’effettuare interventi concreti: “La comunitĆ internazionale non ha fatto niente – ha detto ancora Cristiano -. Ha osservato con impaccio, difficoltĆ e, in qualche caso, con un cinismo che colpisce in particolare la Siria ma anche noi europei. Si deve rendere conto che le tragedie possono occorrere e sono tutte gravissime. Ma trasformare la Siria, che ĆØ il luogo dove ĆØ nata e dove per la prima volta si ĆØ usata la parola ‘cristiani’, dove l’Islam ĆØ venuto in soccorso agli armeni, dove le popolazioni si sono sempre incontrate in un luogo di separazione ĆØ un disastro totale”.
Prospettive di riconciliazione
“Mettere a tacere”. Un’espressione che dice molto sulla necessitĆ di attenzione e presa di coscienza che tutta la questione mediorientale richiede. Un riflettore mediatico che, forse in troppe occasioni, si ĆØ spento lasciando campo libero alla dimenticanza di una visione sƬ profetica ma anche vera e concreta, frutto di un’esperienza diretta, costruita fra i luoghi e le persone della Siria. Ma chi ĆØ che tenta di silenziare quello che, prima di tutto, ĆØ un dramma al quale dovremmo sentirci richiamati non solo come cristiani ma anche come uomini? “Ci sono tanti modi di mettere a tacere – ha spiegato il prof. Gian Maria Piccinelli, dell’UniversitĆ degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’ -.Ā Lo facciamo noi stessi, limitando un certo tipo d’informazione o preferendo un’informazione parziale… C’ĆØ chiaramente poi un’azione piĆ¹ politica, legata a interessi internazionali, di tipo geopolitico, strategico, in cui la posizione di Paolo era estremamente scomoda, perchĆ© chiamava in gioco direttamente quelle che sono le responsabilitĆ dei politici. Porta in qualche modo a estromettere, a espellere non soltanto la persona dal luogo, come hanno fatto con Paolo nel 2012, ma nella memoria”. Cosa fare, dunque, per non spegnere la luce non solo sulla questione siriana ma anche su altri drammi come quello fra Israele e Palestina? “Il messaggio che Paolo portava diceĀ che ĆØ necessario rimetterci tutti insieme, anche i nostri nemici, in una prospettiva di riconciliazione e ricostruire un contesto democratico, pluralista, all’interno di una costituzione che sarĆ nuova per tutti. E’ chiaro che questo stravolge gli assetti sul campo, per tutti quelli che sono gli interessi economici, politici e strategici. Paolo Dall’Oglio vedeva tutto in una prospettiva di dialogo, noi invece siamo in prospettiva di chiusura”.
La profonditĆ dell’incontro
Un messaggio piĆ¹ che mai attuale e che, in un contesto mediorientale nel quale la costruzione di muri evidenzia un atteggiamento di chiusura, timore e, conseguentemente, di potenziale indifferenzaĀ verso scenari ritenuti lontani, dimostra come sia necessaria l’attuazione di un dialogo fra i popoli, probabilmente l’unica vera soluzione per arrivare quantomeno a una presa di coscienza reciproca. Una prospettiva spesso avversata dal quadro politico internazionale che, in qualche modo, non favorisce lo sviluppo di una relazione d’intesa: “La luciditĆ con cui egli vedeva lo sviluppo della situazione e la direzione negativa nella quale si stava andando – haĀ sottolineato a In Terris padre Lombardi – fa molta impressione. Tanto ĆØ vero che lui ĆØ andato a Raqqa, dove ĆØ scomparso, proprio perchĆ© si rendeva conto che andava condensandosi la tragedia nel senso della profonditĆ dei conflitti, senza che si riuscisse (o si volesse) andare nella direzione di una societĆ democratica e di rispetto dei diritti umani. E’ quindi una persona che vede le cose con quella grande libertĆ spirituale che gli era data dal non essere il rappresentante di un potere di carattere politico, economico di parte.Ā Il grande problema del nostro mondo – ha proseguito – ĆØ che c’ĆØ una contrapposizione di poteri e di interessi: la prospettiva del bene comune, del rispetto delle persone e della loro libertĆ , non diventa l’obiettivo centrale dell’impegno della comunitĆ internazionale e dell’autoritĆ politica locale”. L’esperienza di padre Paolo apre comunque una strada che potrebbe davvero essere la chiave per scardinare le reticenze legate al timore dell’altro: “Questi impegni, anche se non sortiscono il risultato che avrebbero voluto, rimangono comeĀ un messaggio a cui potersi rifare per ricominciare un cammino e una ricostruzione. La sua testimonianza sia spirituale sia di natura sociale e politica della situazione in Siria, puĆ² continuare a dare dei frutti. Da un punto di vista religioso sono convinto che la sua profonditĆ e il suo atteggiamento di ricerca dell’incontro tra cristiani e musulmani, a un livello molto profondo di spiritualitĆ davanti a Dio, sia qualche cosa che rimane acquisito e che continuerĆ a essere prezioso anche se ĆØ cosƬ profondo e impegnativo che non ĆØ facilmente comprensibileĀ a livello superficiale”.
Eppure il messaggio di padre Dall’Oglio, nonostante i dubbi sulla sua sorte, ha valicato i confini siriani, entrando nelle menti e nei cuori di chi si ĆØ dimostrato disposto a recepirlo: “Io leggo Paolo e il suo dialogo con il mondo musulmano – ha concluso padre Lombardi – nel contesto dei grandi credenti che hanno cercato di mettersi davanti a Dio con un atteggiamento di fraternitĆ e di comprensione dell’altro, pur pagando di persona le conseguenze di una visione che molti rifiutano, perchĆ© hanno paura del diverso e scelgono la tentazione dell’odio piĆ¹ che l’incontro in profonditĆ ”.