La confusione regna sovrana, nella comunicazione, nella cultura, persino nella scienza e purtroppo anche sui valori. Mentre siamo alle prese con la prima epidemia dell’epoca social, contribuiamo a farci del male corrodendo le basi della nostra civiltà. Chiunque si sente in diritto di alimentare snervanti paure, seminando nel web fake news, e orchestrando strumentali e blasfemi attacchi alla religione.
Ad accumunare questi continui attentati all’opinione pubblica è la superficialità di una società che non sa più unirsi neppure attorno alle radici costitutive della propria storia. Per diabolica nemesi, in nome di un’asserita lotta alle discriminazioni, si rischia di destrutturare il tessuto morale e valoriale di una comunità in preda all’insicurezza e alla crisi identitaria. All’interno di questa destabilizzante cornice tutto sembra lecito e così ultimamente passa sempre di più l’idea che un’epidemia sia meno grave se colpisce principalmente la terza età e le fasce più fragili della popolazione (il refrain mediatico è: “il coronavirus provoca il decesso soltanto di anziani con patologie pregresse !”). E ancora: tutte le fedi devono inginocchiarsi all’unica vera credenza universale del terzo millennio globalizzato e cioè, tutto fa spettacolo, pur di suscitare scandalo è legittimo addirittura irridere la divinità, effigiandola in contesti vergognosamente offensivi per la sensibilità dei credenti.
Non va meglio quando davanti a vaste platee televisive si mette in scena una subdola esaltazione del potere malefico di forze occulte che vengono sdoganate al pari di confusioni antropologiche proposte ai giovani come forme di modernità. Intanto ci si fa il callo a realtà sconvolgenti come quelle dei bambini morti di freddo in Siria mentre cercano di sfuggire ai bombardamenti oppure diventano vittime innocenti di sbarchi sulle isole greche, osteggiati dalla popolazione locale e ammantati dalla vischiosa indifferenza delle organizzazioni internazionali. Insomma, nulla fa più notizia e si finisce per confondere la già disorientata collettività alla quale non vengono date le risposte fondamentali e cioè: dove e perché nasce l’emergenza coronavirus? E soprattutto: cosa si fa in concreto per contrastare un contagio di massa ormai irreversibile?
Noi da operatori di strada ci permettiamo di richiamare l’attenzione sugli ultimi, che di fatto sono i più colpiti, privi di voce e considerati quasi dei “vuoti a perdere”, effetti collaterali del villaggio globale nel quale merita attenzione solo chi popola i settori influenti della comunità. E’ inquietante che non sia stato dato spazio ai familiari delle vittime, cioè a coloro per i quali ai numeri corrispondono esseri umani spazzati via da un’epidemia sconosciuta e sulla quale non vengono fornite informazioni basilari e capaci di preparare, senza psicosi, una risposta comunitaria.
I virus non hanno confini, nessuno si salva da solo e per un problema globale è inutile cadere in un gioco di opposti estremismi che vede irresponsabilmente minimizzare o esasperare le dimensioni dell’allerta. La verità vi farà liberi, dice Gesù, perciò va detto ciò che è indispensabile senza usare il popolo per i propri giochi di potere. Il virus che supera per contagiosità il Covid-19 è la sistematica diffusione di notizie contraddittorie o sensazionalistiche.
Anche e soprattutto per fornire il proprio contributo alla corretta informazione, da oggi, In Terris, assume una nuova e più efficace connotazione editoriale e grafica con l’esclusivo intento di favorire, in ogni ambito comunicativo, un rasserenamento consapevole nell’opinione pubblica, in un’epoca quanto mai bisognosa di voci libere e coraggiose che, senza seminare odio, si assumano la responsabilità di essere sempre luce, anche quando nessuno sembra prestare ascolto alla voce degli ultimi.