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La vittoria della Chiesa francese e l’ombra dell’Europa sulle messe

La Chiesa francese ha vinto il suo ricorso contro le limitazioni alla partecipazione alle messe, decise dal governo del Presidente Macron. Lunedì il Consiglio di Stato ha ordinato all’esecutivo di rivedere entro tre giorni il decreto che riduce a 30 persone il numero di quanti possono prendere parte alle funzioni. Una decisione fin da subito contesta dalla Conferenza Episcopale Francese. I vescovi si sono comunque attenuti alle disposizioni governative senza inutili contrapposizioni e reazioni scomposte ma hanno portato avanti una battaglia legale e di buon senso che ha ottenuto il giusto riconoscimento dalla magistratura d’oltralpe.

In pratica il giudice dei ricorsi al Consiglio di Stato ha ravvisato nello sbarramento imposto dall’esecutivo “una violazione grave e manifestamente illegale” alla libertà di culto. Il numero dei possibili presenti è stato ritenuto “sproporzionato rispetto all’obiettivo di proteggere la salute pubblica”, la misura è stata quindi definita come “non necessaria, sproporzionata e discriminatoria”.

L’associazione cattolica Civitas aveva fatto notare che “se la chiesa parigina di Saint-Sulpice con i suoi 6.170 metri quadrati può accogliere soltanto 30 persone, siamo a 205 metri quadrati a persona, mentre per i negozi il limite è stato fissato a 8 metri quadrati”.
La Francia cattolica ha quindi confidato nei mezzi della democrazia e della stato di diritto per veder confermato il diritto alla libertà religiosa. In piena sicurezza e rispettando tutte le altre disposizioni di sicurezza, i cattolici francesi potranno celebrare le festività natalizie con più serenità e senza inutili e dannose restrizioni che appaiono ancora più ridicole se si considerano le affollate vie dello shopping e i quotidiani assembramenti nelle metropolitane e sui mezzi di trasporto.

Alla luce delle decisioni dei giudici transalpini e di quanto sta avvenendo in Italia da mesi, con i luoghi di culto sanificati e fruiti in sicurezza da decine di fedeli durante le cerimonie, appare quindi ingiustificato il diktat della Commissione Europea che raccomanda di valutare di “non permettere la celebrazione delle messe”, nelle linee guida che dovrebbero essere pubblicate oggi sulle misure anti-Covid. In particolare l’organismo governativo dell’Ue chiede di “considerare di evitare cerimonie religiose con grossi assembramenti, sostituendole con iniziative online, in tv, o alla radio”, secondo quanto hanno fatto trapelare da Bruxelles.

L’Esecutivo comunitario non entrerà invece nella questione degli sport invernali, con l’Austria che intende aprire i suoi impianti sciistici, così come non ha proferito una parola rispetto le regole relative ai centri commerciali e all’accesso sul trasporto pubblico. E’ facile intuire che le istituzioni Ue non intendano infierire ulteriori colpi ad un tessuto economico che affronta la crisi peggiore dal dopo guerra e che, di conseguenza, evitano in tutti i modi di ostacolare la boccata d’ossigeno rappresentata dagli acquisti natalizi.

Ma per quanto sia necessario rimpinguare l’economia, l’Europa non può pretendere di vivere di solo pane; nutrire lo spirito, volgere lo sguardo alla trascendenza e vivere la fede in un contesto comunitario sono azioni che rafforzano il corpo sociale e il sentire comune dei popoli del Vecchio Continente. Non si tratta di necessità velleitarie di una minoranza di credenti, ma delle fondamenta che permettano a tutti noi di non sentirci solo una somma di singoli individui.

Sarebbe inoltre inutile tra l’altro chiedere sulla base di quali dati statistici o scientifici le Chiese sarebbero il luogo più temuto, perché non vi sarebbe alcuna risposta. Nella attesa che l’Europa faccia chiarezza a noi non resta che cogliere la lezione dei vescovi francesi e delle decine di migliaia di sacerdoti che celebrano l’eucarestia e accompagnano il popolo di Dio garantendo la massima sicurezza.

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