Non mi interessa entrare nella polemica di questi giorni sulla proibizione delle Messe con il popolo. Vorrei alzare il tono del dibattito per far comprendere a tutti che la Celebrazione eucaristica è importante per la vita di ogni cristiano, che crede nel Dio fatto Uomo, di cui si nutre attraverso l’Eucarestia che sazia la fame di vita eterna. Non si tratta quindi di una devozione privata superflua, ma di qualcosa di essenziale. Attraverso l’Eucaristia noi entriamo in comunione vitale con Gesù, medico delle anime e dei corpi, siamo liberati dalla solitudine, dall’angoscia e dalla precarietà, siamo strappati dalla nostra condizione mortale e introdotti nel mistero della morte e risurrezione di Cristo nella storia, che segna anche per noi la vittoria della risurrezione sulla morte. Il filosofo Ludwig Wittgenstein si chiedeva “Che cosa porta anche me ad aver fede nella resurrezione di Cristo?” E rispondeva: “Se non è risorto si è putrefatto nella tomba come ogni uomo. Allora è morto e putrefatto. Allora è un maestro, come qualsiasi altro, e non può essere d’aiuto; e noi siamo di nuovo in esilio, soli. E possiamo accontentarci della sapienza e della speculazione. Siamo per così dire un inferno dove possiamo soltanto sognare, separati dal cielo come da un soffitto. Ma se devo essere veramente redento – allora ho bisogno di certezza – non di sapienza, sogni, speculazione- e questa certezza è la fede. È la fede ciò di cui ha bisogno il mio cuore, la mia anima, non il mio intelletto speculativo. Perché è la mia anima, con le sue passioni, quasi con la sua carne e il sangue, che deve essere redenta, non il mio spirito astratto”.
In un tempo in cui, come ha richiamato più volte Papa Francesco, si corre il pericolo dello gnosticismo con uno spiritualismo evanescente, a partire dal realismo dell’Incarnazione siamo chiamati a scoprire quello che san Josemaría Escrivá chiamava il “materialismo cristiano”, di chi non si accontenta di salvare la sua anima, ma vuole salvare anche la sua carne. L’Eucaristia ci dice che il cuore del cristianesimo è fatto di carne e di sangue di cui nutrirsi. L’Eucaristia è strettamente legata alla vita della Chiesa come sosteneva il card. De Lubac con un felice slogan: “È la Chiesa che fa l’Eucarestia, ma è anche l’Eucarestia che fa la Chiesa”. Attorno alla mensa eucaristica ci si sente parte di una comunità, si sperimenta fisicamente l’appartenenza a un popolo. La “Chiesa virtuale”, che i fedeli vivono in questo momento eccezionale di pandemia non può sostituire la Chiesa reale fatta di presenza fisica in assemblea, per quanto distanziati e nel rispetto delle norme prudenziali dettate dalle Autorità competenti. Don Giuseppe Dossetti amava dire che l’ultimo atto della Chiesa in terra sarà l’assemblea eucaristica. In questo senso cosmico la liturgia è fonte e culmine della vita della Chiesa.
La convivialità eucaristica, che si manifesta soprattutto nella domenica, sta all’origine della nostra fraternità in Cristo. Don Luigi Sturzo parlava del rapporto fra eucaristia e vita sociale:” La vita cristiana è vita sociale, della nostra società con Dio attraverso Cristo e la nostra società fraterna in Dio attraverso Cristo; altrimenti non c’è vita ma disintegrazione spirituale e sociale. La Santa Eucaristia, tutta la liturgia sacra, sono il centro della nostra vita. Ogni cosa si incentra in Cristo e nel suo sacrificio, così che tutti noi viviamo non in un isolamento individualistico ma in questa società che unisce insieme Cristo e i cristiani”.
Papa Benedetto XVI, ha detto che la “mistica eucaristica, ha una sua portata non solo sociale, ma anche economica e politica”. L’Eucaristia, crea un circuito d’amore che ci sprona a vivere nella città dell’uomo come persone concordi, libere, coraggiose, che vogliono vivere la cittadinanza come “palestra di carità”.
L’attività solidale delle organizzazioni cattoliche e dei singoli i membri della comunità cristiana per alleviare l’indigenza e la solitudine di tante persone hanno la loro radice vitale nell’Eucaristia come sacramento dell’Amore di Gesù Cristo.
La giusta prudenza per salvaguardare la salute e la vita delle persone non può trascurare la sorgente della vita cristiana che serve a dare un senso alla vita di ogni giorno. Lo scienziato gesuita Teilhard de Chardin sosteneva profeticamente: “Il più grande pericolo che possa temere l’umanità oggi non è una catastrofe esterna, una catastrofe cosmica, non è né la fame né la peste; al contrario è questa malattia spirituale – la più terribile perché la più direttamente umana fra tutte le calamità – che è la perdita del gusto di vivere”