Papa Francesco, in più di una occasione, è intervenuto per richiamare i Paesi ricchi all’obbligo della solidarietà di fronte a una pandemia che è stata particolarmente grave per i Paesi a risorse limitate che non sono in grado di far fronte all’onda d’urto abbattutasi sui loro, già fragili, sistemi sanitari. Vale la pena sottolineare che, al di là delle giuste considerazioni di natura etica che impongono la solidarietà, è necessario un programma di vaccinazione mondiale se si vogliono evitare in futuro rischi anche per chi è protetto dal virus Covid-19 con la vaccinazione, in relazione all’emergenza di nuove varianti.
Infatti, fino a che il virus continuerà a circolare in qualche parte del mondo, nessuno potrà considerarsi al sicuro, perché, come già ricordato, il virus che continua a replicarsi può mutare con la comparsa di nuove varianti che potrebbero non essere sensibili ai vaccini attualmente disponibili. Pertanto, mai come in un mondo globalizzato, la scelta di tipo solidale si traduce in protezione per tutti. Esiste, infatti, un problema di natura generale che è stato più volte sottolineato e che riguarda la diffusione che questa infezione/malattia ha nel mondo e in particolare nei Paesi a risorse limitate.
A questo proposito non posso non ricordare che all’Università Cattolica del Sacro Cuore per 12 anni (dal 2006 al 2018) ho diretto il Centro di Ateneo per la Solidarietà Internazionale (CeSI) che ha sviluppato programmi di tipo solidale in molti Paesi del mondo, compresa l’Africa. Attualmente, abbiamo in corso alcuni programmi in Uganda e in Tanzania e dalle notizie che ci giungono la situazione in Africa risulta essere particolarmente delicata, sia per lo sviluppo dei contagi sia perché questa pandemia ha modificato, in senso peggiorativo, l’offerta sanitaria anche per patologie diverse da Covid-19. Non è certamente facile disporre di un quadro preciso sulla diffusione dell’infezione in Africa, anche se i dati sembrerebbero indicare che l’impatto, pur pesante, è minore, in termini di malattia clinicamente evidente e decessi, rispetto ad altri continenti, con l’eccezione del Sud Africa dove circola una variante più trasmissibile con caratteristiche epidemiologiche più simili a quelle di Stati Uniti ed Europa.
Questa ridotta diffusione è probabilmente legata al fatto che la popolazione africana è relativamente giovane e ciò determina lo sviluppo prevalente di forme asintomatiche o pauci-sintomatiche. Varie organizzazioni sanitarie internazionali hanno però sottolineato che solo un abitante su dieci dei Paesi africani riceverà il vaccino, a meno che non ci sia (come è avvenuto a suo tempo per Hiv/Aids) una mobilitazione internazionale per modificare le strategie attuali, portando a un aumento del numero dei vaccinati.
Il programma Covax sviluppato dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dal Regno Unito si è impegnato a garantire un’ampia vaccinazione agli individui di queste popolazioni, anche se si prevede comunque che solo il 3% di essi riceverà la vaccinazione entro la metà dell’anno e il 20% alla fine del 2021. Oltre un milione di persone in tutto il mondo ha firmato l’appello della People’s Vaccine Alliance per sospendere la protezione brevettale dei vaccini (come avvenuto per i farmaci anti Hiv) in modo da consentirvi un più ampio accesso. È in atto un ampio dibattito tra le nazioni circa questa eventualità con autorevoli prese di posizione a favore, quale quella del presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Al programma Covax si deve aggiungere anche l’impegno della Cina che ha in corso ormai da mesi una massiccia distribuzione di vaccini in vari Paesi dell’Africa nei quali ha programmi di cooperazione economica.