Il drammatico appello lanciato dalle colonne di In Terris dall’arcivescovo di Fabriano e Camerino, Francesco Massara rappresenta una svolta. Nel mezzo di una desertificazione industriale che priva di lavoro e di dignità migliaia di famiglie in un territorio già duramente penalizzato dalla delocalizzazione selvaggia, si è levata la voce profetica e coraggiosa di un Pastore che si fa mediatore di istanze sociali prive di efficace rappresentanza.
E’ tutta la Chiesa “ospedale da campo” a doversi mobilitare per poter soccorrere la sofferenza di una popolazione che sembra condannata all’incertezza e all’assenza di prospettive. In una diocesi che dagli anni ’90 ad oggi è stata ciclicamente devastata da tsunami occupazionali, l’Ecclesia ha il dovere di uscire dalle sagrestie e di farsi mediatrice tra istituzioni e parti sociali per scongiurare l’imprevedibile e minacciosa disperazione che può divenire abbrutimento individuale e collettivo. Dietro all’impersonalità dei bilanci aziendali ci sono lavoratori in carne ed ossa di uno dei distretti industriali storicamente più importanti d’Italia. Dalla cattedra di San Pietro esce un monito costante: questa economia uccide.
A Fabriano il grido d’aiuto delle fabbriche ferite è stato raccolto da una comunità che unisce fede e vita per portare a tutti i livelli quella richiesta di intervento che sola può prosciugare la palude di silenzio e indifferenza che ferisce più delle pallottole. Ieri Papa Francesco ha analizzato all’udienza generale la crisi Covid osservando che la pandemia ha fatto emergere l’iniquità di un sistema economico malato. Sul terreno, in mezzo alla gente, i presuli e anche i parroci sono le antenne e gli occhi del Santo Padre.
Nessuno può dire di non sapere cosa sta accadendo nell’antica roccaforte del modello adriatico di sviluppo. E’ qui che negli anni sessanta economisti e sociologi venivano a studiare il capitalismo dal volto umano. Siamo in periodo elettorale e mai come adesso, le famiglie sono assetate di risposte concrete. Ma sono anche avvilite e disilluse perché dalla politica hanno ricevuto decenni di promesse mendaci mentre le tasche continuavano a svuotarsi. Come ha ammonito il Presidente della Repubblica, questo è il momento di unire, non quello di dividere. L’arcivescovo esorta a mediare e insegna a fare squadra perché non c’è futuro senza sentire quel senso di appartenenza che trasforma una moltitudine in un popolo.
Ora non si tratta di mettere una toppa ad un tessuto dilaniato, bensì di impegnarsi, nella specificità dei talenti e delle distinte responsabilità, per ricucire una collettività smarrita e disorientata. Il Papa operaio Karol Wojtyla, subito dopo la seconda guerra mondiale, visitò le fabbriche europee infiammandosi di sdegno e di partecipazione per le disumane condizioni dell’occupazione maggiormente sfruttata. Lui che aveva conosciuto la barbarie delle miniere polacche, s’innamorò della pastorale del lavoro.
Così quando, 30 anni fa, si trovò a dialogare con gli “ex colleghi” di Fabriano mise al centro del suo discorso proprio quella dignità del lavoro che monsignor Massara lega inscindibilmente alla difesa del posto in fabbrica. E’ cosi che la missione ecclesiale diventa àncora di salvezza nella tempesta. Ognuno faccia la sua parte perché di precarietà si muore e ciascuno di noi, in ambito civile e religioso, è tenuto a fornire il proprio contributo per ridare speranza ad una popolazione che attende l’uscita dal tunnel.