La pace è aspirazione profonda del genere umano. È vocazione di tutti. Essa, però, è gravemente minacciata e quotidianamente insidiata dalla violenza, individuale o collettiva, che la coarta e la distrugge, fino ad annientare l’uomo nella sua dignità e nei suoi diritti fondamentali alla vita, alla libertà e allo sviluppo integrale. La violenza si annida nelle strutture sociali, economiche, finanziarie, politiche, culturali, massmediatiche. Genera conflitti, ingiustizie e guerre. Come combattere la violenza senza lasciarsi avviluppare in una spirale senza fine? È questo un problema che si è riproposto in questi mesi in occasione dell’invasione della Russia nei confronti dell’Ucraina.
Nella “Gaudium et spes”, che elabora una nuova etica della pace e condanna con fermezza e chiarezza la guerra totale, i padri conciliari indicano, come degna di attenzione, la possibile via dell’azione non violenta: «Mossi dal medesimo Spirito, noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della comunità». Nel 1971, il Sinodo dei vescovi ha esortato a promuovere la «strategia della nonviolenza». Negli anni seguenti, varie Conferenze episcopali si sono espresse in modo analogo. La globalità di questa nuova etica della pace, quale emerge dalla GS e dagli altri documenti episcopali, consiste nel riconoscere come accettabili sia il ricorso alla forza per la legittima difesa individuale e collettiva sia l’azione non violenta attiva e creatrice. Ciascuna di queste opzioni è peraltro sottoposta a condizioni molto strette che ne definiscono la legittimità morale.
In breve, la legittima difesa dev’essere al servizio della giustizia, nella coerenza dell’uso di mezzi omogenei col fine, fintantoché l’azione non violenta non potrà abolire il diritto di ogni cittadino, specialmente dei deboli e degli innocenti, d’essere protetti dallo Stato a mezzo della forza se necessario. Il che appare, per ora, non facilmente praticabile. In passato, nel quadro delle strategie classiche, la guerra era crudele, ma generalmente non sterminava le popolazioni coinvolte. Le Nazioni potevano allora sperare che la guerra desse l’avvio ad una soluzione politica, salvaguardando i loro interessi vitali.
Oggi, la rivoluzione tecnologica ha conferito alle armi una capacità distruttiva tale da poter annientare le stesse società che vi ricorrono per difendersi da ingiuste aggressioni. La guerra moderna, diventa guerra totale, ossia violenza massima e criminale, che porta all’annientamento dei contendenti e della stessa umanità. L’accresciuta potenza distruttiva delle armi moderne può provocare il suicidio collettivo. Proprio per questo, a livello di prospettiva etica, nella Dottrina sociale della Chiesa, si è dovuta ripensare la teoria della guerra «giusta», in quanto sempre più difficilmente giustificabile, anche quando si pensasse all’impiego delle cosiddette armi «intelligenti» o «pulite». Questo ha sollecitato a valutare quali siano le condizioni per un disarmo nucleare generale.
Una guerra, infatti, apparirebbe «giusta», più razionale e giustificabile, entro i limiti di un disarmo nucleare generale accettato da tutti, sulla base del cosiddetto principio di sufficienza. Secondo tale principio, lo Stato possiederebbe solo le armi necessarie per la legittima difesa dei popoli. Il che ha fatto riflettere anche su quale tipo di armi gli Stati possano possedere in vista di una legittima difesa, ossia su un tipo di armi che consenta di difendere i popoli ma non di eliminarli. E, inoltre, su cosa fare affinché tutti gli Stati accettino di convenire sul principio di sufficienza, ossia sull’idea di possedere solo le armi necessarie per la legittima difesa, ma che non siano nucleari.
Papa Francesco si pone nella stessa scia dei suoi immediati predecessori sia quanto al rapporto religione e guerra sia quanto alla condanna della guerra nucleare. Per quanto concerne il primo rapporto basta leggere quanto ha sottoscritto il 4 febbraio 2019, assieme al Grande Iman di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, nel Documento sulla Fratellanza Umana per la pace e la convivenza comune. Affermazioni analoghe le ha pronunciate durante il suo viaggio apostolico in Iraq (5-8 marzo 2021). Ecco in sintesi il pensiero di papa Francesco: la religione, per sua natura, dev’essere al servizio della pace e della fratellanza. Il nome di Dio non può essere usato per «giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione». Dio è misericordioso. L’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione.
Per quanto concerne invece il pensiero di papa Francesco sulle armi nucleari e la legittima difesa basta riferirsi a quanto egli ha detto in occasione del suo viaggio apostolico in Giappone (23-26 novembre 2019) e a quanto ha ribadito attraverso l’enciclica Fratelli tutti. A Hiroshima, presso il Memoriale della pace, il pontefice ha affermato in modo lapidario: «Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa» (24 novembre 2019). Come possiamo parlare di pace mentre costruiamo nuove e formidabili armi di guerra? La nostra risposta alla minaccia delle armi nucleari dev’essere collettiva e concertata, basata sull’ardua, ma costante costruzione di una fiducia reciproca che spezzi la dinamica di diffidenza attualmente prevalente.