Ieri nel giorno più buio della pandemia (con il record di decessi dall’inizio dell’emergenza), Papa Francesco ha pregato la Salus Populi Romani, invocando la liberazione dalla pestilenza. E’ un gesto fortissimo che richiama alla memoria collettiva la preghiera dei Vicari di Cristo nei periodi più dolorosi della vita collettiva del popolo di Dio. Gli anziani ricordano ancora la veste bianca macchiata di sangue di Pio XII in visita al quartiere romano di San Lorenzo pochi istanti dopo il bombardamento.
In tempi più recenti, fu la veste bianca di Benedetto XVI a Onna, dopo il terremoto in Abruzzo, a sporcarsi di fango per portare una parola di conforto alla popolazione sopravvissuta al devastante sisma.
Francesco, il Papa di strada che durante il default argentino divenne l’unico portavoce di una nazione allo sbando, si ritrova oggi a raccogliere le energie morali e spirituali del Paese bimillenario di cui è il Primate. Il villaggio globale è stato colpito al cuore dal coronavirus: nulla sarà più come prima, nel mondo e anche nella Chiesa. La globalizzazione dell’indifferenza ha reso più fragili e vulnerabili gli Stati, trasformati in semplici destinatari delle politiche commerciali di multinazionali invisibili. Aver lasciato predominare il liberismo finanziario più sfrenato ha reso le fondamenta nazionali permeabili a qualunque speculazione. In queste ore, persino l’acquisto di materiale sanitario indispensabile, deve soggiacere alle logiche opportunistiche e crudeli del “dio denaro”.
Da qui bisogna ripartire e cioè da una reazione comunitaria all’assoggettamento di intere fasce sociali ad una ingiustificabile tirannia del tornaconto economico. L’Italia, negli ultimi anni e con governi di qualunque colore politico, ha tagliato incessantemente posti letto, ospedali, reparti di rianimazione che ora, in un contrappasso dantesco, diventano il metro di valutazione del fallimento di un sistema. Gli eroici sforzi dei singoli non possono ovviare ad una inveterata e vergognosa abdicazione del ruolo pubblico di un welfare che per decenni è stato un modello nel mondo.
La rivolta delle coscienze, è questo il mio auspicio, non può non partire dalla legge morale dentro di noi per salire al cielo stellato sopra di noi. Vengono continuamente elogiate la disciplina e il senso di responsabilità di nazioni lontane come la Corea e il Giappone, mentre noi abbiamo secoli di letteratura e di storia che comprovano la straordinaria dedizione di un popolo, come quello italiano, che ha scoperto continenti, inventato cure contro malattie terrificanti, animato la fede di milioni di persone attraverso le missioni e le opere caritative. Non venga a farci lezione neppure la costruzione artificiosa del continente ridotto a mercato finanziario che, addirittura in queste giornate di lutto e angoscia, viene a ricordarci come un’usuraia i vincoli di bilancio e gli astratti legacci ai quali abbiamo generosamente, e forse ingenuamente, sottomesso la nostra autonomia d’azione.
Come la Chiesa, pur con ritardi e defezioni, ha saputo sburocratizzarsi, scendere dai piedistalli e avvicinarsi alle periferie geografiche ed esistenziali, così in ambito civile è necessario un sussulto di consapevolezza che consenta di accelerare i tempi nella fornitura di respiratori e macchinari salvavita, alle attuali trincee di questa nuova guerra asimmetrica, che non può essere combattuta senza dotazioni adeguate.
I cappellani e le suore impegnati in prima linea a supporto di medici e infermieri, sono l’emblema di una “resistenza 2.0”, nel pieno di un’allerta da cui usciremo comunque modificati. Il cambiamento deve iniziare dentro di noi, a partire da una pratica meno formalistica e più sostanziale della fede.
Dio non è esclusivamente dentro gli edifici, ma innanzitutto dentro di noi, dove dobbiamo riscoprirlo attraverso la preghiera, le pratiche penitenziali della Quaresima, la lectio divina e la conversione sincera. Speriamo poi che quanti polemizzano senza sosta per le misure precauzionali adottate dalle Diocesi, siano poi i primi a partecipare alle celebrazioni che tutti desideriamo riprendere, appena sarà possibile, in autentica e serena obbedienza al Papa e ai Vescovi.
Che tristezza, poi, vedere che fino all’ultimo istante, i club miliardari dello sport professionistico hanno puntato i piedi per proseguire il loro business, a dispetto di un quadro planetario di angosciosa desolazione. Viene in mente l’immagine biblica del diluvio universale, dal quale l’umanità non è uscita finché una colomba, (immagine dello Spirito divino) non fece ritorno sull’arca di Noè con un ramoscello verde nel becco. Quel ramoscello per noi deve essere il segno di società che finalmente riesca a uscire dal proprio narcisismo individualistico per riscoprire la bellezza dei rapporti familiari, la ricchezza delle nostre radici storiche e spirituali e un senso di unità che ci faccia uscire dalla virtualità di false relazioni interpersonali attraverso la maturazione comunitaria di una condivisione reale di destini e visioni del mondo.
La traversata del deserto alla quale il nostro popolo è costretto deve diventare un’opportunità per ricostruire, su basi sane e integerrime, un contesto pubblico troppo a lungo avvelenato da iniquità, volontà di sopraffazione dell’altro e chiusura ad ogni forma di dialogo. San Tommaso esortava a rintracciare in ogni opera malvagia (scaturita dall’azione del demonio nella quotidianità) un punto da cui ripartire alla conquista del bene.
Adesso non abbiamo più alibi, serve una rinascita che si riprenda pieno possesso di radici colpevolmente abbandonate. E’ sbagliato ravvisare nella tragedia attuale un castigo divino, però cerchiamo di capire cosa ci sta dicendo il Creatore attraverso questa prova così dura. Se ci illudiamo di uscirne senza il Suo aiuto, ci condanniamo alla mediocrità che ha contribuito a precipitarci in una situazione nella quale ancora non si intravede una luce in fondo al tunnel.
Belli i flash mob canori dai balconi, però sarebbe anche il caso proporre la recita un’Ave Maria (magari in un momento unitario, come alle 19.30, accompagnati dal suono delle campane nelle chiese) per chi sta piangendo i propri morti, per quanti combattono, spesso a mani nude, contro un mostro invisibile e per coloro che cercano un significato alla loro esistenza ora che l’incolumità è in pericolo. Dio vuole per i suoi figli la vita, non la morte, ma come ci insegna la Sacra Scrittura, richiede la nostra partecipazione al suo piano salvifico.