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Un Paese come in tempo di guerra

Tutto da valutare l’effetto che avrà la decisione (inedita) di chiudere scuole e università su tutto il territorio nazionale per contenere la diffusione del Coronavirus. Misura eccezionale, quasi da guerra. Che mette milioni di famiglie in condizioni di difficoltà. E che dunque deve avere una chiara, dimostrata necessità. Purtroppo non sembra che tutti gli esperti del governo abbiano in materia una opinione comune. Tanto è vero che la notizia della chiusura ieri prima è trapelata, poi è stata smentita, e infine confermata, con effetto disorientante per le famiglie.

Ma quel che più preoccupa molti osservatori è il dubbio che questa decisione drastica  finisca per aumentare il senso di allarme del Paese con nuovi ricaschi sulla situazione economica già messa fortemente a rischio. Il Paese frena sempre più con i divieti di assembramento che stanno facendo saltare catene produttive, turistiche, fieristiche: quanto ne risentirà il PIL che già prima del virus andava verso lo 0?

Molti sperano che l’Europa ci consenta più flessibilità nei conti di quanto abbia fatto finora permettendo a Gualtieri di mettere in campo circa quattro miliardi per far fronte all’emergenza. “Non bastano” è stato il coro alzatosi dall’opposizione e dalle forze economiche e sociali. Il presidente di Confindustria ha chiesto ben altro per difendere l’economia italiana e Salvini ha evocato un piano da 50 miliardi che tuttavia Gualtieri giudica “lunare”. Conte ha detto che chiederemo all’UE tutta la flessibilità che ci serve.

Già, ma i partiti del Nord, tanto virtuosi quanto avari, già frenano e rallentano la discussione a Bruxelles: se e quando l’epidemia colpirà gli altri partner come sta facendo con noi, vedremo se cambieranno atteggiamento o se resteranno incollati ai loro libri contabili e al mito del pareggio di bilancio. Adesso servono soldi per non far crollare le economie del Continente. Prima o poi dovranno capirlo anche in Olanda e in Finlandia. Quanto a noi dovremo trovare finalmente il modo di far ripartire gli investimenti pubblici bloccati da una superfetazione legislativa e burocratica unica in tutto l’Occidente. Molti chiedono di saltare a piè pari il cervellotico Codice degli Appalti e imboccare, possibilmente senza rischi giudiziari, la strada del commissariamento “modello Genova” che sta facendo venir su il ponte di Renzo Piano in tempi ragionevoli.

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