Fra circa due mesi l’invasione russa dell’Ucraina, chiamata da Mosca “Operazione militare speciale nel Donbass”, compirà il secondo anniversario. Dopo due anni dall’inizio della guerra non ci sono idee e soluzioni per la fine del conflitto, i governi Occidentali alleati di Kiev mostrano segni di stanchezza nel sostenere militarmente ed economicamente lo sforzo bellico dell’Ucraina e le opinioni pubbliche mondiali dividono la loro attenzione tra la crisi in Medio Oriente e gli altri numerosi fronti di guerra.
Le difficoltà della Russia restano tutte celate all’interno del Paese visto che ogni forma di dissidenza è repressa, le crepe sul fronte Occidentale sono invece sotto gli occhi di tutti. Non è un mistero infatti che il presidente ucraino Zelensky, lunedì e martedì scorsi, era negli Stati Uniti per convincere il Congresso americano a dare il via libera l’ultima trance di aiuti militari da 70 miliardi di dollari. I repubblicani, che hanno la maggioranza alla Camera, bloccano questi nuovi fondi perché vorrebbero ridistribuirli sulla sicurezza nazionale il controllo delle frontiere con il Messico. Le cose per Kiev non vanno molto meglio sul fronte europeo con l’Ungheria che sta fermando sia il percorso di adesione dell’Ucraina all’Ue sia i nuovi aiuti militari pluriennali per un totale di 50 miliardi di euro. E’ prevedibile che alla fine sia gli Usa sia i Paesi Europei faranno la loro parte per sostenere militarmente l’Ucraina, la sfida geopolitica con la Russia è infatti di portata epocale, ma questi tentennamenti mostrano una fatica che pervade tutte le economie mondiali.
Intanto sul terreno si continua a combattere, ogni giorno le città ucraine sono martellate dai missili russi, al fronte i giovani continuano a morire nelle trincee e fra le macerie dei villaggi distrutti e oltre 8,2 milioni di ucraini sono ancora profughi che hanno lasciato il loro Paese e non hanno più fatto ritorno.
I dati sulle vittime del conflitto parlano di una carneficina che in Europa non si vedeva dalla Seconda Guerra Mondiale. L’ultimo bollettino diffuso dalle autorità ucraine riferisce che la Russia ha perso 341.500 soldati in Ucraina dall’inizio della guerra. Mosca dal canto suo sostiene che i soldati ucraini uccisi sono almeno 150mila. Nessuna delle due nazioni conferma le proprie perdite e in questi numeri c’è tutta la propaganda che fa parte degli strumenti del conflitto. Fonti indipendenti danno un bilancio inferiore ma comunque drammatico, si stimano ben oltre 100mila morti tra i russi e almeno 40 mila tra gli ucraini. Ad ogni modo, per capire quanto succede, basta dire che le vittime hanno già superato quelle causate dai cinque anni della guerra nella ex Jugoslavia negli anni Novanta.
Dai radar della stampa internazionale è uscita fuori anche la situazione umanitaria sempre più degradata. Nelle zone di guerra le infrastrutture civili sono praticamente fuori uso, intere città sono prive di acqua potabile e riscaldamento e buona parte della popolazione ucraina vive ancora solo grazie agli aiuti umanitari internazionali, senza i quali sarebbe condannata alla fame. In questa cornice la diplomazia non ha fatto un solo passo in avanti, a parlare sono solo le armi, sia il governo di Mosca sia quello di Kiev hanno dato un ulteriore stretta sul reclutamento forzato per rimpinguare le truppe. Anche le giovani donne sono chiamate alle armi e i pacifisti e gli obiettori di coscienza su entrambi i fronti rischiano la galera.
La spirale d’odio non sembra trovare una soluzione di continuità. L’unico dibattito diplomatico internazionale è fossilizzato su la questione “armi sì o armi no” ed è caratterizzato dalla mancanza della benché minima proposta politica. Nessuno in Occidente avanza soluzioni per la questione delle popolazioni di etnia russa di quel martoriato Donbass rivendicato e occupato dalla Russia e d’altra parte a Mosca non c’è alcuna intensione di intavolare una trattativa che porti al ritiro delle truppe russe dalle aree occupate e annesse dell’Ucraina. Sarà quindi un altro inverno di passione per il popolo ucraino ma anche per centinaia di migliaia di famiglie russe che hanno i figli al fronte. Per lasciare uno spiraglio ad una soluzione pacifica del conflitto abbiamo il dovere di continuare a parlare di queste sofferenze, delle vittime, delle brutalità che avvengono sul terreno e anche dei segni di speranza portati dai volontari e dalla Chiesa locale. Il silenzio fa il gioco di chi soffia sul fuoco di una guerra che rischia di diventare endemica.