La festa dell’Immacolata ha per me un sapore di famiglia. Sono stato Parroco per 19 anni in una parrocchia dedicata a Maria Madre della Chiesa e l’8 dicembre era l’anniversario della dedicazione della chiesa; dopo la Messa delle 11, nel salone della Parrocchia invitavamo a pranzo gli anziani soli; eravamo proprio in tanti, e i giovani servivano in tavola e ne portavano a chi non poteva uscire di casa. E ricordo anche i tempi in cui – padre spirituale prima e poi rettore del Seminario – la sera del 7 sostavamo a lungo in preghiera, con i genitori e gli amici dei seminaristi.
Era allora – ed è ancora oggi, a Savona, celebrando il Pontificale in Cattedrale – un raccogliersi attorno a Maria, la Tutta Pura, terra da sempre sognata da Dio per accogliere il Figlio: il seme della Parola in Lei ha dato frutto “e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Ma questa è la vocazione della Chiesa e di ciascuno di noi: “ogni anima che crede concepisce e genera il Verbo di Dio” (lessi questa parola di Sant’Ambrogio quando ero ancora seminarista, e da allora mi accompagna sempre, come una rivelazione! in tempo di Avvento…).
Questo chiede però a ciascuno il coraggio della decisione e dell’accoglienza, che solo in Maria sono state piene e senza ombre: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. Per me, invece, suona come monito la parola di Giovanni: “venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11). E Maria è il rovescio dell’Adamo che siamo un po’ tutti: “Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto” (Gen 3,10).
Mi affido allora a Maria, e la prego. Perché sostenga la mia povera fede e mi aiuti a dire ogni giorno “eccomi”. Anche quando ho paura e non ce la faccio. Ma so anche che l’Immacolata non può sostituirsi a me e che devo trovare in me il coraggio di accogliere, e così nascere: “A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”. Possiamo imparare da Lei: l’Immacolata nasce come madre, a Nazaret, e diventa Madre della Chiesa, Madre di tutti, ai piedi della Croce. Maria, donna dell’intercessione e Mater gratiae!
Sarà, tra qualche settimana, la grazia del Natale: nascere, conformi all’immagine del Figlio. Figli nel Figlio, come da sempre ha intuito la sapienza cristiana.
Ma per nascere secondo il sogno di Dio e così diventare, per pura grazia, fecondi, una cosa ci è chiesta: di morire. Perché “l’uomo non è fatto per morire, ma per generare. Ma per generare bisogna morire” (H. Arendt). Lo so bene: è un verbo che vorremmo cancellare, e per nulla natalizio. Ma fa parte della vita, e forse ci può aiutare a averne meno paura ricordare alcuni sinonimi: regalare, abbracciare, perdonare, ascoltare, dare tempo, porgere l’altra guancia, giocare con i bambini, metter su tavola per il pranzo dell’Immacolata e magari invitare un povero, pregare senza fretta qualche mistero del Rosario…
Morire, accogliere, nascere: verbi mariani che mi hanno ricordato alcune parole di Madeleine Delbrel sul Dio piccino: “Colui che decide di lasciare aperta la sua porta potrà accoglierlo sotto l’umile sacramento dei volti umani. I volti lavati dalle lacrime, i volti stanchi, i volti insudiciati…Sotto l’umile sacramento di tutto ciò che è sgraziato, colui che al crocevia del mondo sa costruire l’albergo senza registrazioni e senza prezzi vede lo straniero diventare fratello e il Verbo farsi carne per abitare in mezzo ai suoi”.
E’ lo stile dell’Immacolata, del quale le sillabe preziose del Nuovo Testamento ci aiutano a fare memoria grata:
– “ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38);
– “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19);
– “Donna, ecco tuo figlio!” (Gv 19,26).
Celebrare la festa dell’Immacolata significa proprio accogliere la Tutta Pura come nostra Madre.