Fiducia alle Nazioni Unite, al loro Segretario Generale, alla loro agenzia per il sostegno ai profughi palestinesi che va rifinanziata. C’è un filo logico che lega la parte del discorso di Sergio Mattarella all’Onu più legata alla contingenza a quella, studiata da mesi, in cui il Presidente della Repubblica affronta i temi di fondo della riforma del Palazzo di Vetro. Un lungo ragionamento, quello pronunciato dal Capo dello Stato di fronte all’Assemblea Generale, la cui densità è direttamente proporzionale all’importanza dei temi trattati. Tanto da farne un discorso quasi programmatico, anche se la politica estera non rientra nei temi di diretta titolarità-à del Quirinale.
Colpisce innanzitutto come le tre fiducie espresse da Mattarella suonino, indirettamente ma chiaramente, ad altrettante critiche all’attuale governo israeliano che, da quando è iniziata la sciagurata crisi di Gaza e del 7 Ottobre, ha avuto più di una volta occasione di minare l’autorevolezza dell’Onu e della persona di Antonio Guterres, soprattutto quando questi si è espresso contro la reazione eccessiva di Israele nella Striscia. Quanto all’Unrwa, facile ricordare le accuse israeliane di appoggio esplicito ad Hamas.
Dietro si scorge un ragionamento di metodo, più che sul merito della crisi in corso, perché il governo Netanyahu è il più convinto assertore dell’eccezionalità israeliana rispetto alle regole del diritto internazionale, vale a dire quella voluta unicità che proprio ad Israele rimproverava Hannah Arendt. Invece il multilateralismo resta l’approccio e il metodo da seguire, e Mattarella lo ha ricordato a chiare lettere. Solo in questo modo sarà possibile intraprendere l’unica via d’uscita dalla crisi, quella che porta alla nascita di due stati e alla garanzia di sicurezza per Israele, libero di vivere in pace tra vicini non più ostili.
Di qui anche le sue considerazioni sulla guerra in Ucraina. Nata da una palese violazione del diritto internazionale, la qual cosa fa chiarezza sui torti e le ragioni, ed ora nel pieno di una fase cruciale. Pace sì, ha scandito il Presidente, ma “non qualsiasi soluzione o, tantomeno, una soluzione che premi l’aggressore e mortifichi l’aggredito. Creando un precedente di grande pericolo per tutti”.
Una chiara risposta a chi, mosso da un comprensibile e condivisibile desiderio di pace, propone soluzioni irrealizzabili se non addirittura prossime alla resa. Sarebbe, appunto, un precedente pericoloso ed un tradimento dello stesso spirito della Carta dell’Onu e più in generale del diritto delle genti. Se le armi risucchiano i soldi della lotta alla fame del mondo, il miglior modo per limitare questo scandalo è dare nuova forza al consesso delle nazioni, che pur tra errori e mancanze, hanno dato spesso stabilità, scongiurando il ricorso alle armi delle singole potenze. Non è un caso che l’attuale instabilità si sviluppi al termine di un lungo processo di indebolimento del principale consesso internazionale, in cui i fabbricanti d’armi abbiano fatturato patrimoni in costante crescita. Si vis pacem, para pacem.
Ma preparare la pace sottintende saper ricostruire la credibilità, l’autorevolezza e lo stesso funzionamento dell’Onu. Non a caso Mattarella dedica un passaggio alla riforma del palazzo di Vetro, tema caro all’Italia, che presentò un progetto già nella prima metà degli anni ’90. La novità è una raccomandazione: si tenga conto dei veri fattori di novità che segnano la differenza tra oggi ed il 1945, quando si scrisse il testo ancora in vigore. Nuove forze sono emerse, e sono emerse in pace. La prima è l’Unione Europea, la seconda l’Unione Africana, con tutti i processi imitativi e virtuosi che ne sono scaturiti.
Sì, il mondo è cambiato, l’Onu va riformata. Ma tenendo conto che, in questi otto decenni, tra il fragore dei rami schiantati dalle pallottole e dalle granate sono nate, in quella foresta che è l’ordine internazionale, delle solide, robuste, resistentissime querce. Non è più tempo di far finta che non esistano.