Negli anni a venire, la domanda di energia elettrica in Italia crescerà ancora. Già nel 2023 il consumo ha raggiunto i 305,6 TWh, trainato da un’economia in evoluzione e dall’espansione di tecnologie come l’intelligenza artificiale, capaci di trasformare il lavoro, la produzione e gli stili di vita. Tuttavia, il nostro mix energetico non è sufficiente a soddisfare questo crescente fabbisogno. Le fonti rinnovabili, come il solare e l’eolico, non garantiscono stabilità a causa della loro intermittenza, e ciò richiede investimenti significativi per potenziare la rete e sviluppare sistemi di accumulo dell’energia.
La situazione è resa più complessa dalla progressiva chiusura delle centrali a carbone e dall’incertezza legata ai costi del gas naturale, esacerbata dalle crisi geopolitiche in Europa e Medio Oriente. Affidarsi esclusivamente alle rinnovabili rappresenta un rischio, poiché non possono assicurare la stessa affidabilità delle fonti tradizionali. Diventa quindi necessario diversificare il mix energetico integrando tecnologie a zero emissioni, programmabili, sostenibili e con impatti ambientali e sociali ridotti.
Tra queste soluzioni, l’energia nucleare emerge come una scelta strategica. Si tratta di una fonte pulita, sicura e competitiva, capace di contribuire alla decarbonizzazione e all’obiettivo globale di “zero emissioni di CO2”. Nonostante l’Italia abbia abbandonato il nucleare da oltre 30 anni, continua a importarne in grandi quantità da paesi vicini come Francia, Svizzera e Slovenia. Ora, tuttavia, il governo italiano sta rivalutando questa opzione. La revisione del Piano nazionale per l’Energia e il Clima (PNIEC) ha rilanciato l’idea del nucleare, con la creazione di un gruppo tecnico per aggiornare il quadro normativo e il possibile inserimento nel mix energetico di piccoli reattori modulari (SMR), considerati più flessibili e meno invasivi.
Questa scelta è giustificata anche dalle stime di consumo energetico per il 2050, che potrebbero raggiungere 750 TWh. Il successo del nucleare in Italia dipenderà però dalla capacità di comunicare i suoi vantaggi attraverso campagne educative chiare e basate su dati scientifici. Informare correttamente la popolazione è fondamentale, soprattutto per contrastare la disinformazione diffusa da un ambientalismo ideologico che spesso confonde radioattività e tossicità o considera le scorie nucleari un problema insormontabile.
Vale la pena ricordare che i rifiuti radioattivi non derivano solo dalla produzione energetica, ma anche dalla diagnostica medica, dalla terapia e dalla ricerca scientifica, gestiti da anni in sicurezza. Tecnologie come la scintigrafia o le nuove terapie salvavita sono esempi concreti del contributo del nucleare, al pari della sua capacità di fornire energia pulita e affidabile. In un contesto di transizione energetica, l’Italia non può permettersi di escludere questa opportunità.