L’emergenza prodotta dal coronavirus ci ha scoperti vulnerabili e, soprattutto, incapaci di dare una giusta dimensione a quanto stava accadendo. Come avveniva – mi raccontava mio padre – durante la guerra, quando i cacciabombardieri attraversavano i cieli sganciando le bombe sulle città e tutti si chiudevano nei rifugi o, al contrario, quando arriva un evento improvviso come un terremoto e tutti scappano fuori di casa in modo confuso e irrazionale.
Già, la paura prende il sopravvento e ci porta a comportarci come fa il bimbo nel grembo della madre, si tiene al caldo e al sicuro, qualunque sia la realtà fuori di lì. Adesso sembra che questa paura non passi più, il virus aggredisce porzioni sempre diverse del pianeta, nelle ultime settimane c’è un rigurgito in Europa… la paura non diminuisce, anzi semmai cresce. Esorcizziamo la paura con una patina di finta sicurezza, tenendo comportamenti opposti ai suggerimenti di cautela che ci arrivano, ma in effetti quella paura è dentro le nostre vene ed è pronta a scatenarsi di nuovo.
La cosa che più mi fa riflettere è che il Covid-19 ci fa paura più di tutti i cataclismi passati, presenti e – immagino – futuri, che sono accaduti, accadono e accadranno sulla terra, per il semplice motivo che non avvengono davanti ai nostri occhi. Eppure tutti questi accadimenti, incluso il Covid 19, sono frutti dello stesso albero: gli interessi dei potenti del mondo hanno stravolto l’ecosistema naturale e hanno determinato e determinano cambiamenti climatici e nuove virulenze.
È il grido della terra e il grido dei poveri che si solleva forte, ma che nel nostro mondo occidentale arriva ancora troppo fievole, nonostante anche nella parte del mondo in cui viviamo ci siano segni tangibili della sofferenza del pianeta e delle persone che abitano le nostre Comunità.
C’è un paradosso evidente nelle scelte politiche ed economiche di questi ultimi mesi: una massa enorme di risorse straordinarie al servizio dell’economia, sostanzialmente un enorme debito sulle spalle di chi verrà dopo di noi, ma una massa di risorse per rilanciare la stessa economia che ha generato il lockdown.
Sorge spontaneo il dubbio che si tratti di una grossa manipolazione e strumentalizzazione, sulla pelle dei più poveri, per garantire e semmai aumentare il potere di chi è già potente.
Mentre il pianeta brucia, mentre arrivano improvvise le alluvioni, mentre a tanti manca il lavoro e il necessario per vivere, mentre riprendono i flussi migratori, mentre si allargano i campi profughi di chi fugge da guerre e carestie, mentre la terra e il mare vengono inquinati…i signori della terra tramano i loro affari senza guardare in faccia nessuno.
Sarebbe stato scontato il passaggio ad un nuovo sistema economico, ad una “transizione ecologica” frutto della scelta di tutelare l’ecosistema e coloro che ci vivono ad ogni latitudine, dare a tutti il necessario per vivere pensando ad un “reddito universale”, ma non sembra questa la strada che si vuole percorrere e così il covid 19 appare come uno dei tanti allarmi che dovremo attenderci.
Solo i pilastri della transizione ecologica (mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento ai cambiamenti climatici, uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine, transizione verso un’economia circolare, prevenzione e riduzione dell’inquinamento, protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi) potrebbero salvare il pianeta, ma questo contrasta con gli interessi dei padroni del pianeta stesso.
Come ha suggerito il prof Leonardo Becchetti recentemente “quando troviamo lungo la strada un cartello che segnala il pericolo di un burrone non si tratta di un limite insopportabile alla nostra libertà, ma di un’indicazione che ci evita un male peggiore”. Di questo dovremmo davvero avere paura, di cadere in un burrone e non di rischiare il contagio di un virus che forse è arrivato solo per renderci più responsabili.
Perché dal punto di vista strettamente sanitario, questo virus, dopo aver fatto capire di essere capace di diffondere il terrore nel mondo occidentale, è andato in quei Paesi dove più facilmente – per gli stili di vita o per l’estrema povertà – può diffondersi. Ma certamente quel virus non è più cruento delle bombe, dei fucili, dei pesticidi, della desertificazione, di ogni sopraffazione umana.
Credo che ciò di cui dobbiamo davvero avere paura è la nostra indifferenza e il nostro cinismo. Di fronte alla possibilità di intraprendere una strada generativa e ricca di senso, il rischio è di ripercorrere vie che sembrano più sicure, ma che sono strade sbagliate o senza uscita e dover poi dolorosamente tornare indietro per un nuovo lockdown.