Ha suscitato unanimemente choc e commozione in tutta Italia il brutale femminicidio di Giulia Cecchettin. Con questo assassinio si cerca per l’ennesima volta di uccidere la speranza. Il pensiero va innanzitutto allo strazio dei familiari della studentessa e al dolore inimmaginabile che si può provare dinanzi alla perdita di una figlia massacrata in quel modo. Ma, nella settimana di iniziative di sensibilizzazione che culmina sabato nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, a sconcertare è anche il fallimento educativo di un’intera società, incapace di trasmettere il supremo valore della sacralità della vita.
Una civiltà che non sa formare le generazioni al rispetto della dignità umana produce tragedie che derivano non solo dalla mancanza di un’adeguata educazione sentimentale ma anche dall’assuefazione a una cultura di morte che nell’immaginario collettivo anestetizza l’orrore della sopraffazione e della brutalità. “La violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggerla”, afferma il filosofo Benedetto Croce. La rinascita dell’umanità può iniziare solo dalla fonte di vita che è la donna. Eppure sono continuamente offese, picchiate, violentate, indotte a prostituirsi e a sopprimere la vita che portano in grembo.
“Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna- avverte papa Francesco-. Dal corpo di una donna è arrivata la salvezza per l’umanità. E da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il nostro livello di umanità”. La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne si celebra in tutto il mondo per richiamare l’attenzione su un fenomeno che purtroppo è cronaca quotidiana e non accenna a diminuire. Un abominio che distrugge l’armonia, la bellezza e la bellezza che Dio ha voluto dare al mondo.
Don Oreste Benzi era il prete “dalla tonaca lisa”, perché non si curava di rinnovare la sua talare invecchiata. Era troppo occupato a rincorrere i più disperati con l’amore contagioso e la carità inesauribile che lo caratterizzava. Ha percorso fino alla fine un cammino particolare: recarsi anche sui marciapiedi della prostituzione per dare voce a migliaia di giovani donne ridotte in stato di schiavitù e per combattere il fenomeno della tratta degli esseri umani. Lo sfruttamento del corpo femminile, infatti, non è un semplice reato, bensì una catastrofe collettiva. Quindi è un dovere comunitario proteggere la dignità delle donne e non possiamo restare indifferenti di fronte all’abuso.
Esercitare violenza contro una donna o sfruttarla va oltre la relazione distorta tra un uomo e una donna. La violenza spezza l’interconnessione nel creato facendo venir meno brutalmente il femminile. E ciò che resta è minato nel profondo. Le varie forme di maltrattamento subite da molte donne sono deprecate dal Magistero come una vigliaccheria individuale e un degrado della società. Non possiamo guardare dall’altra parte. È l’umanità che va interpellata per non cedere all’indifferenza, per muovere ad azioni concrete contro un “fenomeno dalle pieghe subdole e coercitive”.
Il Papa stigmatizza lo spirito maligno del sopruso dando voce a ciò che milioni di donne nel mondo non riescono a verbalizzare, imprigionate da sopraffazioni di genere e pesanti catene psicologiche. L’altra metà del cielo deve essere rispettata, riconosciuta e coinvolta. Francesco lo ribadisce mentre sale globalmente il tasso di femminicidi tanto da configurarsi come un autentico genocidio di genere. A Dio chiede il dono della conversione e delle lacrime (“mai più morte e sfruttamento”). Il Papa dà voce alle vittime contro coloro che sfruttano quell’aberrante stato di schiavitù che è la prostituzione (“crimine e tortura rivolta alle donne”.
Una posizione densa di significato proprio per la drammatica realtà a cui sono sottoposte migliaia di donne. Il Pontefice ha incontrato e ascoltato con il cuore donne violentate e costrette a prostituirsi cogliendo in pieno, come nessun altro prima, la gravità della realtà in cui si trovano le più fragili e indifese delle creature. L’esempio di come lottare contro il racket lo ha offerto lui stesso. Il 12 agosto 2016 Francesco ha bussato alla porta di un umilissimo appartamento, all’interno di un grande condominio, dove la comunità Papa Giovanni XXIII accoglie in emergenza, le giovanissime donne strappate alla tratta e al mercimonio coatto.
Con profonda attenzione ha ascoltato i drammi di queste figlie. Ed è rimasto esterrefatto quando l’ultima arrivata, accolta la sera prima, gli raccontava in uno stentato inglese le sevizie di ogni genere subite lungo il percorso verso l’Italia. Un calvario culminato nella tragedia della figlioletta morta dopo il parto sulla strada, al bordo di un marciapiede, nell’indifferenza dei cosiddetti “clienti”. La ragazza piangeva e gridava dal dolore mentre il Papa la stringeva a sé per consolarne la sofferenza.
Quella visita inaspettata è divenuta l’effige di una condizione bisognosa di gesti d’amore capaci di lasciare tracce indelebili. Nel cuore di quella ventina di ragazze è rimasto impresso il segno della tenerezza, degli abbracci, della commozione e delle parole di richiesta di perdono rivolte dal Santo Padre che nella prefazione del mio libro “Donne Crocifisse” ha indicato come “patologica” la mentalità per cui una donna vada sfruttata come se fosse una merce da usare e poi gettare. “È una malattia dell’umanità, un modo sbagliato di pensare della società. Liberare queste povere schiave è un gesto di misericordia e un dovere per tutti gli uomini di buona volontà. Il loro grido di dolore non può lasciare indifferenti né i singoli individui né le istituzioni”, afferma Francesco.
Il senso profondo dell’amore è rispetto e non reificazione dell’essere umano, non è avere tutto e subito, non risponde alla logica dell’usa e getta. L’amore è fedeltà, dono, responsabilità. Davanti alla piaga degli abusi fisici e psicologici sulle donne, c’è l’urgenza di riscoprire forme di relazioni giuste ed equilibrate, basate sul rispetto e sul riconoscimento reciproci, affinché ciascuno possa esprimere in modo autentico la propria identità. Al contrario la prepotenza conduce a una degenerazione dell’amore, ad abusare degli altri, a far soffrire la persona amata. L’amore malato si trasforma in violenza. Ma questo non è amore.
Amare vuol dire apprezzare la persona che ci sta accanto, rispettare la sua libertà, amarla così com’è, non come noi vogliamo che sia. Il femminicidio, evidenzia Francesco, è un problema “umiliante e satanico” perché è “profittare della debolezza di qualcuno che non può difendersi”. Matrimoni forzati, schiavitù domestica e lavorativa sono alcune delle forme attraverso cui si esercita l’abuso sulla donna.
Una ferita che riguarda ognuno di noi e deve suscitare l’indignazione di tutti. Scrive William Shakespeare: “Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi Signori, davanti a una Donna”.