Il dibattito sul recupero energetico e sulla tecnologia interessata come i termovalorizzatori nonostante qualche cambiamento rimane molto acceso. Dunque persistono ingiustificabili denigrazioni da parte di certi ecologisti da loft che provocano immobilismo molto costoso. Secondo loro, i termovalorizzatori impatterebbero negativamente sulla salute pubblica e sull’ambiente circostante, rilasciando emissioni inquinanti, e rallenterebbero il processo virtuoso di prevenzione dei rifiuti, riuso dei beni e recupero di materia, orientato verso l’economia circolare. La realtà è semplicemente un’altra. Per quanto concerne il primo punto, le più recenti analisi scientifiche effettuate per i Comuni italiani interessati dalle installazioni di queste tecnologie, rilevano come gli impatti sopra evidenziati risultino poco significativi, con valori di emissioni atmosferiche sotto i limiti previsti dalla normativa (da segnalare come l’intero processo sia periodicamente controllato dalle autorità pubbliche).
Parallelamente a questi studi, diverse aziende/multiutility che operano nell’ambito della gestione dei rifiuti, hanno introdotto progetti sperimentali inerenti alla biodiversità, legati al ruolo delle api nelle zone adiacenti ai termovalorizzatori. Questi piccoli e operosi animali sono molti sensibili ai cambiamenti creati dagli agenti inquinanti e sono, per questo, in grado di segnalare precocemente l’insorgenza di instabilità per la biodiversità stessa e per la salute umana. In presenza di queste tecnologie, le api riescono a vivere benissimo e producono un ottimo miele, un dato non casuale. Tutto questo per dimostrare che gli impianti di termovalorizzazione sono sostenibili e sposano pienamente i princìpi dell’economia circolare.
Per quanto riguarda il secondo punto, la valorizzazione energetica è complementare alla diminuzione dei rifiuti, al riuso dei beni e al riciclo, e incide significativamente sulla riduzione, portando, talvolta, all’annullamento, dello smaltimento in discarica. Quindi, i termovalorizzatori non impediscono la crescita del riciclo: i recenti dati ISPRA (anno 2022) dimostrano che nelle regioni del Nord Italia le percentuali di raccolta differenziata e quelle di riciclo sono elevate anche in presenza dei termovalorizzatori, che trattano i rifiuti residui non riciclabili, i materiali estranei rispetto ai rifiuti differenziati e gli scarti dei processi del riciclo stesso, per sfruttare e garantire energia elettrica e calore alle comunità locali, contribuendo alla decarbonizzazione dell’economia. Insomma, il recupero energetico è sempre preferibile allo smaltimento in discarica. Lo hanno compreso bene le popolazioni del Nord Italia, ricavandoci apprezzabili benefici ambientali, economici e sociali.
In conclusione, possiamo confermare che, nell’ambito della gerarchia dei rifiuti, il recupero energetico è subordinato a quello di materia, come attività complementare di quest’ultima, con l’obiettivo finale di minimizzare lo smaltimento in discarica. La direttiva UE in materia di economia circolare, stabilisce determinati obiettivi al 2035: il riciclo dovrà pesare per almeno il 65% dei rifiuti prodotti, lo smaltimento in discarica per il 10% e il 25% dei rifiuti residui dovrà essere destinato al recupero energetico
. A Roma ed in molte regioni del Sud, questi obiettivi sono un miraggio. O meglio, la Città Eterna ancora al palo come molti territori meridionali potrebbero continuare a convivere con l’immondizia per le strade e con le discariche abusive a cielo aperto, e a far viaggiare tir pieni di rifiuti, su e giù per l’Italia e per l’Europa, arrecando danni enormi all’ambiente circostante (emissioni Co2), alla salute pubblica e alle tasche dei cittadini. A meno che questi ultimi decidano di comune accordo con la classe politica locale, di accettare la sfida: rendere autosufficienti tutte le comunità in ritardo, al fine di chiudere definitivamente il ciclo dei rifiuti, puntando in modo specifico sulla neutralità tecnologica.