Abbiamo accolto il Signore allāinizio della Settimana Santa con lāacclamazione: āBenedetto colui che viene nel nome del Signore!ā Mi immagino il Signore che entra in questo tempo difficile e di dolore nelle nostre cittĆ , nei paesi, nelle strade, in questi giorni quasi senza popolo, per ricordarci che siamo comunque un popolo anche nella distanza, il suo popolo. Ma quante volte lo abbiamo dimenticato in questo tempo, perchĆ© distanti e presi dalla paura, che ci ha resi piĆ¹ soli, piĆ¹ egocentrici, e ci ha spesso fatto pensare a salvare noi stessi, rendendoci meno popolo, meno comunitĆ . Oggi sempre piĆ¹ scopriamo il bisogno di tornare popolo, comunitĆ .
Nel Vangelo di Marco poco prima della Passione si racconta un episodio molto significativo: GesĆ¹ si ferma alla tavola di Simone il lebbroso, un escluso, mentre una donna unge il suo capo con un unguento prezioso per significare lāunzione del suo corpo sofferente e ferito della Passione e della croce. Un lebbroso e una donna, forse una di quelle peccatrici che lo seguivano, due esponenti di un mondo di esclusi, con i quali non mischiarsi. Essi rappresentano una parte importante dellāesistenza terrena del Signore, quando camminava attorniato da pubblicani, malati, lebbrosi, donne e povera gente. Con loro sognava un popolo in cui tutti potessero sedersi alla stessa tavola, la sua tavola, quella di una fraternitĆ universale, dove nessuno sarebbe stato escluso. La tavola di Simone giĆ ci faceva intravvedere unāaltra tavola, attorno alla quale GesĆ¹ si sarebbe radunato con i suoi discepoli proprio prima del suo arresto, quella cena che celebriamo il GiovedƬ Santo e che rinnoviamo ogni volta che ci raduniamo per la Liturgia Eucaristica. Essa ĆØ diventata āmemoriaā della sua morte e resurrezione, cioĆØ realizza ciĆ² che noi proclamiamo, come nella Pasqua ebraica, quando Israele ripeteva: ā In ogni generazione ciascuno ha il dovere di considerarsi come se egli stesso fosse uscito dallāEgittoā .
In questa tavola, che racchiude il mistero della nostra salvezza, si manifesta anche la comunitĆ della Chiesa: esclusi, malati, poveri e discepoli. Tutti attorno alla stessa tavola. Con questa immagine nel cuore, con questa visione, attirati dalla tenerezza del gesto di amore e di cura di quella donna e con Simone il lebbroso, il Signore ci conduce sulle vie di questo mondo lastricate di croci: le vie delle guerre che tutto distruggono, quelle percorse dai profughi nel Mediterraneo e via terra dallāAsia allāEuropa o attraverso le Americhe, le vie dello sfruttamento e dellāoppressione dei poveri e dei piccoli, della distruzione del creato, della corruzione e della criminalitĆ , della sofferenza dei malati e dellāabbandono degli anziani.
Leggendo i Vangeli, vediamo chi āstaā con GesĆ¹ lungo la via dolorosa. I āsuoiā, i piĆ¹ intimi, gli apostoli, āabbandonatolo, fuggironoā. Ā Oltre a Simone il lebbroso, abbiamo anche Simon Pietro, il secondo Simone. CosƬ infatti lo chiama GesĆ¹ nellāorto degli ulivi, quando lo trova addormentato. Gli ricorda con quellāappellativo chi ĆØ, lui che affermava che non lo avrebbe mai lasciato solo, un poā come noi cristiani quando ci sentiamo troppo sicuri di noi stessi. Ma cāĆØ un terzo Simone, Simone di Cirene, costretto a portare la croce di GesĆ¹. Forse in questo tempo di dolore si dovrebbe tornare come quei due Simone che hanno incontrato GesĆ¹, il lebbroso e il cireneo, riconoscendo la nostra malattia e la nostra pochezza. Ć da lƬ che si parte per non lasciarsi vincere dalla paura, dallāegocentrismo che tutto mortifica e rende impossibile. Come la donna di Betania e le donne che hanno seguito GesĆ¹ fin sotto la croce, ĆØ il tempo di prendersi cura con Lui di coloro che soffrono, dei malati, degli anziani degli istituti, spesso soli e dimenticati, dei tanti poveri e bisognosi. Siamo fragili, pieni di paura, indecisi, egoisti, preoccupati. Questa settimana ĆØ il tempo della scelta, della decisione. Da che parte stiamo? Dei sicuri o dei deboli che scoprono la forza che viene dalla Pasqua? In questi giorni possiamo seguire il Signore come il suo popolo, attorniati anche noi dai tanti che soffrono e portano croci pesanti in ogni parte del mondo.Ā
Mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo