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Sussidiarietà per uscire migliori dalla crisi

Papa Francesco ha tracciato la strada per “uscire migliori dalla crisi”. In questa prospettiva il principio di sussidiarietà dev’essere attuato, rispettando l’autonomia e la capacità di iniziativa di tutti, specialmente degli ultimi. Tutte le parti di un corpo sono necessarie e, come dice San Paolo, quelle parti che potrebbero sembrare più deboli e meno importanti, in realtà sono le più necessarie (cfr 1 Cor 12,22). Alla luce di questa immagine, il Pontefice sottolinea come il principio di sussidiarietà consenta ad ognuno di assumere il proprio ruolo per la cura e il destino della società.

Attuare il principio di sussidiarietà, secondo Francesco, dona speranza in un futuro più sano e giusto. “E questo futuro lo costruiamo insieme. Aspirando alle cose più grandi, ampliando i nostri orizzonti- avverte il Papa-. O insieme o non funziona. O lavoriamo insieme per uscire dalla crisi, a tutti i livelli della società, o non ne usciremo mai”. E’ importante ripartire, perciò, dall’apporto originale di umanizzazione che solo il cristianesimo ha dato ed è in grado di offrire in modo particolare oggi. In un contesto di neoindividualismo e di neoutilitarismo libertario. Soprattutto con riferimento alle persone concepite nella loro integralità. E alla vita. Dalla nascita alla morte naturale.

In un tempo in cui vita e morte non sono più espressione della sacralità del mistero, ma sono divenuti beni commerciabili e negoziabili. Cioè basta avere soldi e la pretesa che il proprio arbitrio diventi un diritto soggettivo che “ipso facto” deve essere tutelato dall’ordinamento statale. Mi riferisco, inoltre, alla libertà legata alla verità, al bene comune. Non considerato in senso hobbesiano, ossia come un limitare i condizionamenti negativi, bensì in senso cristiano, tommasiano, come un creare le condizioni che consentono l’attuazione del bene comune. Oltreché alla fraternità come principio architettonico della democrazia. All’umanesimo trascendente (alternativo al transumanesimo immanentista). Allo sviluppo integrale, inclusivo. All’ecologia integrale, ad una democrazia samaritana, ad una società relazionale, intesa come un noi sempre più grande, ad una politica sempre più impastata di pensiero pensante e meno di tecnica. Ad un’economia a servizio di tutti. Ad un welfare di comunità o generativo.  Occorre poi tenere presente quel plesso di questioni socio-economiche e culturali che sono oggi sul tappeto. Ossia la digitalizzazione, l’industria 4.0, l’educazione 4.0, un nuovo modello di economia verde. E ancora l’economia del riciclo, il terzo settore. In modo da inventare forme inedite di gestione per la produzione e la fruizione di beni comuni e di beni relazionali. Così essenziali per il nostro benessere eppure così troppo scarsi in Italia.

Cose tutte che invocano un neoumanesimo trascendente e che rappresentano una nuova frontiera non ancora ben focalizzata nel dibattito dei partiti e che è difficile ricollegare alla destra e alla sinistra. Sono prospettive che attendono una nuova politica e, più in particolare, nuovi partiti. Il problema di fondo è che nel Paese c’è un copione in cerca di autore. Ma che in questo momento non è oggetto di debita considerazione. Né da parte degli attuali partiti, rallentati da giochi di potere, zavorrati da ideologie neoindividualistiche e neoutilitaristiche che li rendono miopi rispetto alle res novae. Né da parte di quel nuovo mondo già emergente dalla società civile, ma che appare indeciso nel mettersi in rete per esprimere adeguate rappresentanze sul piano politico-istituzionale. Quindi risulta ancora attuale la denuncia di Giuseppe Dossetti, che in suo scritto di anni fa sottolinea le insufficienze dei cristiani e del clero con queste parole: “Una porzione troppo scarsa di battezzati consapevoli del loro battesimo rispetto alla maggioranza inconsapevole“.

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