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Sulla pelle delle schiave

Gli ultimi drammatici episodi di cronaca nel Mare Mediterraneo hanno evidenziato una terribile verità: la tratta degli schiavi non è mai cessata. Dalle origini ad oggi è cambiato solo il sistema per prelevare essere umani trasformandoli in merce di scambio. Il passaggio di questi disperati nelle mani di criminali nel deserto e poi degli scafisti alimenta un business inimmaginabile. Prostituzione, manodopera, vendita di organi rappresentano i profitti di questo nuovo commercio. Eppure nell’immediato dopoguerra quando la distruzione e la povertà tormentavano i Paesi sconfitti ci fu una volontà di ripresa che espresse un’energia combattiva volta alla conquista di un rinnovato benessere e di una nuova civiltà. Questa spinta in avanti determinò non solo la grande ripresa economica ma anche importanti conquiste sul piano del pieno riconoscimento di tutti i diritti civili e democratici. Tra le trasformazioni che caratterizzarono i cambiamenti in atto si colloca la rivalutazione della dignità della donna espressa per esempio in Italia con l’abrogazione della legge Merlin e quindi con la chiusura delle case di tolleranza. Allora la povertà materiale sembrò essere riscattata da un pieno possesso dei valori che la miseria della guerra non avevano minimamente scalfito.

Oggi la nostra povertà sta diventando miseria perché si accompagna ad uno smarrimento delle coscienze. Tra le espressioni del vuoto che si va verificando ci sono le proposte di legge che cercano di disciplinare il ripristino della prostituzione considerandola una “normale” attività di lavoro. Si è sempre detto che “il lavoro nobilita l’uomo” ma questo può succedere soltanto se esso è espressione di libertà e non quando calpesta profondamente la dignità della persona. Non si può fare commercio del corpo umano, come invece accade purtroppo in quelle tratte che seminano disperazione e morte vicino le nostre coste. Nessuna forma di schiavitù quindi può essere regolamentata né disciplinata; la legge è a tutela dell’uomo e della sua dignità. La prostituzione è sempre una condotta che abbrutisce sia chi si vende e sia chi compra; non è possibile mercificare il corpo senza contaminare anche la propria anima. Il cliente è l’espressione della fragilità e debolezza umana ma anche di un egoismo cieco e spietato che con la propria domanda alimenta il traffico internazionale delle nuove schiave. Non a caso l’Europa, in linea con quanto da sempre diceva don Oreste Benzi fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, ha invitato più volte gli Stati membri ad adottare il modello nordico che appunto penalizza la domanda.

L’esercizio della prostituzione ha sempre prodotto drammi e ferite che non si sono mai rimarginate. I segni dei continui abusi subiti accompagnano la vita di tante vittime. E’ impensabile che uno Stato moderno possa legittimare forme di violenza così inaudite e vergognose. Tra le vittime inconsapevoli di questo vile mercato ci sono proprio i giovani che rischiano di crescere ritenendo normale o addirittura innocua la compravendita di un essere umano per fini sessuali. La nostra società non è riuscita a consegnare alle nuove generazioni modelli credibili, né ad insegnare loro l’importanza di compiere scelte valoriali; incrementare nuove forme di violenza contribuisce a farne degli sconfitti aggravando quel disagio interiore che li sta devastando.

La Chiesa di Papa Francesco che abbraccia gli ultimi e i più deboli sollecita continuamente i governanti a combattere qualsiasi forma di oppressione e di sfruttamento, nel rispetto degli insegnamenti evangelici. Questo appello non va soltanto rispettato ma deve essere pienamente accolto richiamandoci ad un impegno cristiano nei confronti di ogni persona sofferente perché privata della sua dignità. Gli uomini e le donne che promuovono un mercato cosi torbido celano la propria incapacità di amare nel senso più ampio della parola, perché chi ama sempre, innanzitutto, rispetta l’altro.

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