Editoriale

La strategia dell’Italia nella partita delle nomine europee

Con la testa a Parigi, con il cuore a Bruxelles. E non potrebbe essere diversamente. E semmai non fosse così, vorrebbe dire una sola cosa: l’Italia è fuori dalla partita europea delle nomine. Invece, e ciò rappresenta il peso con il quale la bilancia sta in equilibro, il nostro Paese dentro quella partita ci sta eccome, determinato più che mai nel voler portare a casa gli obiettivi prefissati.

Certo, il braccio di ferro per l’indicazione dei nomi da collocare nelle caselle chiave della Ue, in questo preciso frangente, è in stallo ed è verosimile che lo rimarrà per almeno una settimana, quella che conduce al secondo turno delle elezioni francesi per l’Assemblea nazionale. Un voto, tecnicamente parlando, dagli esiti ancora incerti, ma in ogni caso destinato a impattare sugli equilibri europei e in particolare sulla strategia italiana per i vertici dell’Unione, dove non vince chi strilla di più, ma ottiene il massimo chi sa trovare la giusta strada.

In gioco, vale la pena ricordarlo, c’è sì il prestigio di Giorgia Meloni a Bruxelles, e la sua credibilità elettorale in patria, dov’è intenzionata a far vedere che il peso di Roma nel continente è ormai determinante, specie dopo i deludenti risultati ottenuti alle Europee dai colleghi Emmanuel Macron e Olaf Scholz, ma è altrettanto evidente che se la scacchiera è rimasta la stessa, le pedine sono profondamente cambiate. Soprattutto a Parigi e Berlino, rimettendo Roma in una posizione di vantaggio. Che deve essere capitalizzato, forte del risultato delle europee e dell’attuale stabilità interna.

C’è un governo e non c’è una crisi in vista. E questo non può non essere considerato, al di là di giochi della politica e delle alleanze (o convenienze) europee, spesso diverse da quelle apparecchiate nei propri Paesi.E per quanto tutto ciò possa appare strano, in realtà fa parte della liturgia europea, da non confondere che le regole del gioco nazionali. Perché è anche su questa triangolazione che si gioca la partita europea dell’Italia e, di riflesso, quella continentale, dove il dialogo con il prossimo governo francese sarà strategico, anche se non facile. Ma è anche in quest’ottica che la Meloni, quindi l’Italia, potrebbe giocare il proprio jolly.

Nel Consiglio europeo la premier ha assunto un atteggiamento attendista con l’astensione sul secondo mandato a Ursula von der Leyen. Pur lanciando un segnale forte con il voto contrario alla nomina del portoghese Antonio Costa alla presidenza dell’organismo e di Kaja Kallas come Alto rappresentante per gli Esteri. Il punto resta la possibilità di far parte della maggioranza che eleggerà Von der Leyen con il gruppo dei Conservatori e riformisti europei, di cui Meloni è presidente. Un’eventualità già esclusa dai socialisti e dai liberali (questi ultimi superati in numero proprio dall’Ecr), ma che continua a dividere i popolari.

Antonio Tajani, voce autorevole nel Ppe, insiste sulla necessità di aprire: “Serve una maggioranza ampia e serve dare una risposta agli elettori”, ha ribadito. La circostanza taglierebbe fuori la Lega e il suo gruppo (i sovranisti di Identità e democrazia). Che però guarda con interesse alla possibile nascita di una nuova formazione, dopo l’alleanza a tre attorno al “Manifesto patriottico” lanciato dal premier ungherese Viktor Orban, assieme all’ex primo ministro ceco Andrej Babiš e all’austriaco Herbert Kickl. Difficile valutare come e se sarà in grado di smuovere le dinamiche dell’Unione.

Al di là della futura maggioranza, gli obiettivi di Giorgia Meloni per l’esecutivo europeo sono chiari da giorni. La premier vuole la vicepresidenza e un commissario di peso con deleghe economiche importanti. Il nome che circola è quello di Raffaele Fitto, ministro per gli Affari Ue e uomo di fiducia del capo dell’esecutivo. Ma sul tavolo ci sono anche altre opzioni. La prima è quella che porta a Elisabetta Belloni, che ha già dimostrato di sapersi muovere molto bene come sherpa del G7. In alternativa si parla del titolare della Difesa, Guido Crosetto (anche lui molto vicino alla premier). Ad ogni modo la sfida è ancora aperta e da qui al 18 luglio, giorno in cui l’Europarlamento dovrà votare le nomine proposte dai leader, sarà bene attendersi molte mosse da parte degli attori chiamati a disegnare il nuovo assetto europeo, tutte potenzialmente in grado di cambiare l’inerzia della partita.

Enrico Paoli

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