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La strategia del governo in vista delle elezioni europee

I frequentatori dei palazzi romani, spesso simpatici burloni della politica, l’hanno ribattezzata “la battaglia delle bandierine”. E tutti i torti non li hanno. Perché il dossier balneari, ovvero le concessioni delle spiagge, agita e non poco Palazzo Chigi. In ballo non ci sono solo le norme imposte dalla Ue, contro le quali il governo italiano non è troppo accondiscendente, ma gli interessi di un’intera categoria, considerata un bacino elettorale tutt’altro di secondo piano. Ragione più che sufficiente per muoversi con cautela, considerando l’imminenza delle elezioni europee dove si vota con il sistema proporzione, quindi ognuno per se. Perdere consensi ora, su temi così specifici, è un prezzo che nessuno vuol pagare. Quindi una delle strategie è rinviare, almeno sino a quando è possibile.

Ma il capitolo dei balneari è solo un esempio di come si vadano muovendo il governo e la maggioranza parlamentare che lo sostiene. La necessità di far viaggiare in parallelo l’attività dell’esecutivo e quella dei partiti, concentrati sulla campagna elettorale, stanno creando una sorta di cantiere aperto attorno a temi caldi come la giustizia e il premierato, l’autonomia e il fisco, per non scordare l’urbanistica, tanto cara alla Lega. Solo la sugar Tax, per un gioco d’incastri, è stata congelata, togliendo il tema dall’ordine del giorno. Ma su tutto il resto è guerra di posizione. Anche perché mancano soltanto due riunioni del Consiglio dei ministri prima delle elezioni europee e tra i membri del governo Meloni è scattata la corsa a presentare dei decreti.

Un eccesso di produttività, quello registrato in queste settimane, che va nella direzione opposta a quella indicata dal Quirinale, ovvero limitare i provvedimenti urgenti. Tanto per rendere plastica l’idea, mentre tutti sono concentrati sulla riforma della giustizia, annunciata in più di un’occasione dal ministro, Carlo Nordio, sono in arrivo altre norme. A sfidarsi sono Forza Italia e Lega, ognuno vuole il proprio vessillo da sventolare nell’ultimo miglio della campagna elettorale. Nel frattempo, dopo qualche incertezza, la premier si è convinta ad approvare in tempo, per il voto del 9 giugno, la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti. E’ stato lo stesso Nordio a spiegarlo nel corso del question time alla Camera: “Arriverà nei prossimi giorni”. Ancora una volta non si specifica la data, ma il fatto che la stessa Meloni si sia esposta martedì con le stesse parole usate dal Guardasigilli ha dato qualche sicurezza in più a Forza Italia. Il giorno giusto potrebbe essere, quindi, il 29 maggio. La cautela in Fratelli d’Italia resta molta, specie dopo le reazioni durissime del congresso dell’Associazione nazionale magistrati che insiste sul fatto che l’indipendenza è a rischio. Per non trasmettere l’idea di uno spirito punitivo, la premier ha preteso di inserire nella riforma molte norme.

Tra le ipotesi in ballo, due concorsi distinti per separare le carriere di magistratura requirente e giudicante, e un doppio Csm, oltre al progetto di un’Alta Corte con il compito di giudicare le toghe. Trattandosi di una riforma costituzionale, quello che il Consiglio dei ministri dovrebbe votare è un disegno di legge, che avrà poi un percorso lungo, tanto che praticamente nessuno scommette su un’approvazione definitiva entro la fine della legislatura. Forza Italia insiste nel dire che la Meloni si è impegnata formalmente nel corso di una riunione a Palazzo Chigi e che quindi non c’è più spazio per ripensamenti.

Nel Consiglio dei ministri di lunedì prossimo, intanto, potrebbe essere approvato il cosiddetto “salva-casa” al quale tiene moltissimo Matteo Salvini, il pacchetto di norme per regolarizzare delle difformità all’interno delle abitazioni, con l’obiettivo dichiarato di rimettere sul mercato una moltitudine di immobili. Per le opposizioni si tratta di nuovo condono edilizio. E Giorgia Meloni, che era rimasta spiazzata dall’annuncio di Salvini un mese fa, ha chiesto di eliminare ogni possibile sospetto di condono. “L’obiettivo non è di fare un condono”, ha specificato il vicepremier e ministro dei Trasporti, “è sanare tutte quelle piccole irregolarità interne che ci sono nelle quattro mura di milioni di italiani”. Poi toccherà alla Giustizia con nuove assunzioni dei magistrati e forse ci sarà anche una norma per tentare di chiarire la complicata vicenda delle concessioni balneari. Un caso, quest’ultimo, che più che attirare voti, rischia di allontanarli.

Sul fronte economico, invece, sono le previsioni di primavera della Commissione europea a mettere in agitazione l’esecutivo. Per quanto riguarda il quadro di finanza pubblica il governo italiano si troverà probabilmente ad affrontare una procedura per deficit eccessivo, nella nuova versione faticosamente approvata dalle istituzioni europee. Mentre sul fronte della crescita ritraggono un Paese che dovrà trovare la forza di lasciarsi alle spalle la sbronza del superbonus: la quale – è bene ricordarlo – non solo ha affossato i conti (e continuerà a farlo nel tempo) ma ha supplito, dopo la vigorosa fuoriuscita dalla pandemia, alla necessità di alimentare con investimenti e riforme ben congegnate l’andamento dell’economia.

Quanto all’autonomia e al premierato, è ormai chiaro a tutti che il dibattito vero arriverà soltanto dopo il voto europeo. L’accordo siglato alla Camera dai capigruppo ha fissato al 21 maggio il ritorno in Aula del provvedimento, dopo la discussione generale dello scorso 29 aprile per il testo predisposto da Roberto Calderoli. E c’è, non meno importante, il patto segreto e inconfessato stretto dalla maggioranza per spostare a dopo le elezioni europee il voto finale. Quanto al premierato, la discussione generale sul disegno di legge costituzionale per l’elezione diretta del premier, dovrebbe concludersi nella seduta pomeridiana di martedì prossimo, 21 maggio, a partire dalle 15. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo di palazzo Madama. Nel dettaglio, martedì si dovrebbero svolgere gli ultimi interventi sulla riforma costituzionale: uno per ciascun gruppo parlamentare.

Da mercoledì 22 inizieranno le votazioni degli emendamenti in Aula. “Se passasse la riforma entrerebbe in vigore la prossima legislatura”, ha spiegato la premier. Dunque “non è un referendum sul presente, vedo sempre tirare per la giacchetta il presidente della Repubblica, ma nel 2028 saremo anche verso la fine del mandato di Sergio Mattarella, è una riforma che guarda al futuro”. Mentre, secondo Meloni, “si sta cercando di personalizzare lo scontro sul referendum, sperando in un revival delle dimissioni di Renzi” ma quella costituzionale “è invece una riforma necessaria. È la madre di tutte le riforme, sulla quale spero che si possano costruire delle convergenze che, se non dovessero arrivare, devo chiedere ai cittadini cosa ne pensano”. Ma dopo le europee, con i voti scrutinati…

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