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La straordinaria attualità del pensiero di De Gasperi

I settant’anni dalla morte di Alcide De Gasperi costituiscono l’occasione per riprendere gli assi portanti del pensiero dello statista trentino e comprendere la straordinaria attualità del suo patrimonio valoriale. La storia contemporanea sembra trarre linfa dal patrimonio politico di De Gasperi, un leader che fu l’ultimo presidente del Consiglio dell’Italia monarchica e il primo presidente del Consiglio della Repubblica costituzionale, che pagò con il carcere la sua convinta contrarietà al fascismo e che relegò i comunisti all’opposizione dopo il successo elettorale del 18 aprile 1948. Un leader che, come lo definisce Antonio Polito nel bel volume a lui dedicato, non ebbe bisogno di definirsi “riformista” per diventare il più grande riformatore dell’Italia liberaldemocratica.

Nel contesto drammatico in cui l’Italia si trovava, uscita a pezzi sul piano morale ed economico dal secondo conflitto mondiale, De Gasperi seppe realizzare “la continuità dello Stato italiano sancendo contemporaneamente la discontinuità rispetto alla monarchia e al regime fascista e poggiando la nuova costruzione democratica su basi diverse da quelle ereditate dallo Stato liberale” (Mattarella, 2016).

La sua idea di uno stato sociale in cui il massimo numero possibile di uomini possa condurre una vita fondata sulla proprietà e su una sfera autonoma di lavoro, era strettamente correlata alla centralità della persona, dei suoi diritti e delle sue aspettative. La sua idea di liberalismo umanistico, molto distante, dal liberismo puro, auspicava interventi dello Stato a favore dei ceti più fragili. Anche l’economia di mercato andava bilanciata con la diffusione della piccola proprietà. Egli fa tesoro dell’esperienza costituzionale di Weimar con riferimento ai diritti sociali che saranno ampiamente riconosciuti nella Costituzione repubblicana; dalla scuola alla sanità; dalla previdenza alla assistenza.

Sul versante dell’articolazione territoriale dello Stato, il principio unitario doveva comporsi attraverso un sapiente equilibrio con la promozione del decentramento e dell’autonomia di Regioni ed enti locali. Era il 29 gennaio 1948 quando, in occasione della discussione sul progetto di Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, egli affermò “io che sono autonomista convinto e che ho patrocinato la tendenza autonomista, permettete che vi dica che le autonomie si salveranno (…) solo ad una condizione: che dimostrino di essere migliori della burocrazia statale, migliori del sistema accentrato statale, migliori soprattutto per quanto riguarda le spese. Non facciamo concorrenza allo Stato per spendere molto, ma facciamo in modo di creare un’amministrazione più forte e che costi di meno”.

Con la formazione del quarto governo da lui presieduto, De Gasperi, nel maggio del 1947, improntò l’azione politica sui tre pilastri di “libertà, giustizia e pace”, che costituirono il fil rouge della sua impronta anche in sede di Costituente. Nelle opere dedicate alla proposta politica degasperiana emerge la fondamentale funzione che egli svolse nella fase preparatoria della Costituzione. Nel 1977 Pietro Scoppola scriveva “De Gasperi ebbe un ruolo decisivo nel garantire il clima necessario ai lavori della Costituente: neutralizzò nella fase programmatoria spinte giacobine, in nome del potere assoluto della sovranità popolare, allora presenti nella sinistra e oggi riemergenti, paradossalmente a destra, e garantì il quadro politico del lavoro costituente, anche dopo la crisi dell’unità antifascista nel maggio del 1947”. Con la sua azione politica, rese possibile l’approvazione a larghissima maggioranza della Costituzione, “elemento cardine della convivenza civile nel nostro Paese”.  Sebbene, il leader democristiano, per usare le parole di Leopoldo Elia, “apparve come estraniato” dall’elaborazione del testo costituzionale, la sua influenza discreta lasciò un segno indelebile nel documento fondamentale. Invero, lo statista democristiano scelse di proposito una linea di non ingerenza del Governo nel delicato lavoro di stesura della nuova Carta, (con eccezione dell’ampia dichiarazione di voto sull’art.7 del progetto elaborato dalla Commissione Ruini sui rapporti tra Stato e Chiesa).

Linea che fu particolarmente opportuna dopo la svolta del maggio del 1947 con la formazione dell’esecutivo De Gasperi–Einaudi.  La chiara separatezza tra i due livelli decisionali, del resto, non rappresentò un ostacolo per la messa in opera da parte dell’allora Presidente del Consiglio di una vigilanza discreta sulla scrittura della Costituzione. Come risulta dal suo volume del 1943, “Idee ricostruttive della DC”, l’esperienza di vita vissuta dal primo dopoguerra fino alla caduta del nazifascismo lo aveva convinto della necessità di porre al centro della nascente democrazia italiana come dell’integrazione europea, il bene supremo della libertà e lo spirito di fraternità “fermento vitale della civiltà cristiana che deve essere il regime di domani”.

Un manifesto politico quasi profetico che ci può aiutare a comprendere la complessità in cui ci ritroviamo immersi oggi.

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