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“Sperare contro ogni speranza”: la chiamata di ogni cristiano

In un tempo nel quale non ci sono state risparmiate sofferenza, paura, incertezza sul futuro, morti di persone care senza la possibilità di un funerale, con l’allentarsi, almeno in alcune regioni, della diffusione del coronavirus, si incomincia a vedere la luce in fondo al tunnel in vista della ripartenza della cosiddetta “fase 2”. Sembra sentir risuonare l’interrogativo di un antico oracolo: “Sentinella quanto resta della notte?”. La sentinella risponde: «Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!» (Is 21,11-12). Dopo questa pandemia si ripete che tanti comportamenti dovranno cambiare. C’è bisogno di una conversione personale al Vangelo, ma anche di una conversione pastorale delle comunità cristiane.

All’improvviso tutti abbiamo dovuto imparare a relazionarci in modo inconsueto. La distanza sociale è divenuta la modalità prima del nostro prenderci cura di noi stessi e del nostro prossimo, una forma di carità verso la società nel suo complesso. Ci siamo scoperti drammaticamente fragili in balia di un nemico invisibile agli occhi ma fin troppo visibile negli effetti devastanti sul nostro vivere personale, familiare, sociale e anche religioso. È stato messo in crisi un certo modo di concepire la vita di una comunità basata sugli incontri fisici, ma siamo stati aiutati anche a tornare all’essenziale riscoprendo, per esempio, l’importanza della comunione spirituale con Cristo, che non è un semplice legame di natura sentimentale, ma vera unione con Lui attraverso la fede e la carità. 

Per San Tommaso d’Aquino la comunione perfetta con Gesù Cristo è la comunione sacramentale e spirituale, mentre la comunione imperfetta è sia la comunione sacramentale senza quella spirituale, cioè in assenza delle necessarie disposizioni, sia la comunione spirituale senza quella sacramentale. L’emergenza che stiamo vivendo purtroppo ci ha privato della comunione eucaristica, ma speriamo di tornare presto alla normalità della vita liturgica comunitaria, soprattutto domenicale, che costituisce il culmine e la fonte della vita della Chiesa. Il ricevere il Corpo di Cristo, farmaco d’immortalità, per la concezione sacramentale del cristianesimo, fondato sul mistero dell’Incarnazione, è importante.  

Papa Francesco, nella Messa a Santa Marta di venerdì 17 aprile, ha parlato del rischio gnostico che possiamo correre di “viralizzare” la fede cristiana, senza sacramenti, senza partecipazione alla liturgia, senza vita di comunità. In questi giorni mentre nei disegni dei bambini viene raffigurato l’arcobaleno che segna la fine del diluvio universale, lo slogan più diffuso è “Andrà tutto bene!”. Vorrei sommessamente ricordare che l’espressione “tutto andrà bene” viene dalla beata Giuliana di Norwich, vissuta dal 1342 al 1430, alla quale, negli anni in cui in Europa imperversava la peste nera, il Signore affidò queste parole: “All will be well ”. Nell’espressione della mistica inglese, in cui si manifesta una concezione che parla dell’amore di Dio in termini di gioia e compassione, in opposizione alla legge e al dovere, non è difficile riconoscere un richiamo forte alla speranza cristiana a cui ancorare le speranze umane.

Papa Francesco, nell’udienza del 27 settembre 2017, richiamandosi alla mitologia greca diceva: “Se gli uomini non avessero coltivato la speranza, se non si fossero sorretti a questa virtù̀, non sarebbero mai usciti dalle caverne, e non avrebbero lasciato traccia nella storia del mondo. È quanto di più̀ divino possa esistere nel cuore dell’uomo”. Nel VI sec a.C. Eraclito sosteneva che “senza la speranza è impossibile trovare l’insperato” (frammento 18). Lo stesso filosofo giungeva alla sorprendente conclusione espressa nel frammento 27: “Dopo la morte attendono gli uomini cose che essi non sperano e neppure immaginano” che introduceva nel pensiero antico la prospettiva di una vita ultraterrena.

Nonostante il momento drammatico che stiamo attraversando noi cristiani siamo chiamati a “sperare contro ogni speranza” (Rm 4,18) come scrive san Paolo ai Romani. Questa speranza non è solo per i vivi ma anche per coloro che sono morti. Lo stesso Paolo ha scritto: “Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione vuota anche la vostra fede” (1Cor 15, 13-14). Commentando questo testo il teologo evangelico Dietrich Bonoeffer scrive: “… se Cristo non è risorto, il punto d’appoggio che regge tutta la nostra vita vacilla e tutto si infrange; la nostra vita declina verso il non senso. Ogni discorso che ha per oggetto Dio è illusorio, ogni speranza evanescente”. La speranza, che si inserisce nel rapporto fra tempo ed eternità, è una certezza ragionevole di un bene futuro, che implica un cammino faticoso verso una meta sicura. Si dice abitualmente che se c’è vita, c’è speranza”. Secondo Papa Francesco è il contrario, come ha affermato in un’udienza del settembre 2017: “E’ la speranza che tiene in piedi la vita, che la protegge, la custodisce e la fa crescere”. 

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