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La soluzione per combattere il razzismo, la violenza e la volgarità negli stadi

Il caso Vinicius, calciatore brasiliano del Real Madrid vittima di insulti razzisti durante una partita del suo club, è stato al centro dell’attenzione balzando sulle prime pagine dei giornali in Spagna e nel mondo. Poche ore dopo l’accaduto la polizia di Valencia ha identificato e detenuto quattro ragazzi (dai 19 ai 24 anni) accusati di delitto di odio razzista verso il giocatore. Un fiume di solidarietà ha inondato i giornali e i social. Perfino il presidente del Brasile Lula ha espresso solidarietà mentre è stata spenta l’illuminazione della famosa statua del Cristo Redentore come gesto di vicinanza al giocatore. Inoltre il ministro della giustizia del paese sudamericano ha affermato che la giustizia brasiliana potrebbe intervenire sul suolo spagnolo, secondo il “principio di extraterritorialità”, per reati d’odio subiti dai suoi connazionali all’estero.

Tutto giusto. O quasi. Non pochi hanno infatti manifestato la loro perplessità sull’accaduto e sulla risonanza mediatica che ha trasformato un episodio da stadio in un caso di diplomazia internazionale. Innanzitutto non ha convinto l’atteggiamento vittimista del giocatore che ha segnalato all’arbitro i tifosi scorretti e invocato sanzioni esemplari da parte della Liga. Vinicius ha inoltre accusato la federazione spagnola di consentire comportamenti razzisti sui campi come una cosa “normale” e ha definito la Liga un “campionato di razzisti” in un “paese razzista”. La dichiarazione ha fatto saltare sulla sedia il presidente della Liga Javier Tebas che ha ribadito il suo impegno contro il razzismo e invitato Vinicius a non lasciarsi manipolare e a “informarsi” sulla situazione reale sui campi. Tebas ha affermato che si tratta di un episodio isolato che non avviene negli altri campi dove militano centinaia di giocatori di colore (più di 200 in 42 club) avvolti dall’affetto e dalla stima dei loro tifosi. Ha inoltre ribadito pubblicamente di aver invitato più volte Vinicius a confrontarsi sul da farsi senza ottenere risposte da parte del giocatore. Secondo quanto riportato dal presidente Tebas in tutta la stagione sono stati registrati nove casi di insulti razzisti cui otto contro il giocatore della nazionale brasiliana. Al contempo il Valencia CF ha ribadito che è “totalmente falso affermare che tutto lo stadio abbia proferito insulti razzisti” come è stato riferito dai media. Una posizione inizialmente sostenuta anche dall’allenatore del Real Madrid, l’italiano Carlo Ancellotti che ha dovuto poi correggersi dopo le numerose critiche chiedendo scusa per la generalizzazione.

Questi elementi danno l’idea di cosa realmente sta succedendo e di come bisognerebbe comprendere questo episodio. Come ha sottolineato il giornalista spagnolo Javier Villamor, gli avversari del Real Madrid non sono razzisti (avendo tutti nei propri club dei beniamini di origine africana o sudamericana) ma hanno capito la fragilità e vulnerabilità del giovane Vinicius, la sua sensibilità che si trasforma in nervosismo e disattenzione sul campo. Tutto a favore della squadra avversaria.

Tutto ciò non per giustificare gli insulti ricevuti da Vinicius ma per considerare il contesto in cui l’episodio ha avuto origine. Contestualizzare non significa giustificare. Chi conosce minimamente il calcio, chi ha una volta nella vita pestato un gradone di uno stadio, potrà capire il contesto in cui tutto ciò avviene. Chi invece il calcio è solito leggerlo su dei giornali non potrà che strapparsi le vesti ed invocare una nuova Norimberga contro i crimini del nazionalsocialismo attuati negli stadi di calcio di tutto il mondo. Generalizzare, esasperare i toni, ammanettare e trascinare in galera dei ragazzi, “espellerli a vita dagli stadi” e mettere in atto delle “sanzioni esemplari” come richiesto in prima pagina dal quotidiano sportivo più letto in Spagna, non può essere la soluzione per combattere il razzismo, la violenza e la volgarità negli stadi.

Se si vuole estirpare il razzismo si dovrà prima ancora fare i conti con la violenza fisica e verbale che avvolge il mondo dello sport; si dovrà fare i conti con tutti gli altri pesanti insulti che giornalmente si scagliano contro gli avversari negli stadi dove il turpiloquio e l’offesa sono all’ordine del giorno. Insulti di ogni tipo che coinvolgono ogni aspetto della persona, insulti sessuali, offese alla famiglia, alla religione. Nessuno di questi episodi sembra scomporre più di tanto l’opinione pubblica, scandalizzare i giornalisti, attivare le procure o provocare confronti diplomatici internazionali. Leggere il caso Vinicius come un caso di puro e semplice razzismo senza considerare il contesto degli stadi, il fattore campo e gli interessi di una certa agenda politica e culturale che stanno contribuendo ad alzare i toni del confronto significa avere un quadro riduttivo e incompleto della situazione. In questo contesto si inserisce anche l’intervento del presidente Lula.

Ciò che i giornali non diranno è che Vinicius è in fase di rinnovo col suo club e presto si dovranno stabilire le condizioni economiche, che la Spagna in quei giorni era in piena campagna elettorale e che “l’allarme fascismo” è attualmente un’arma da brandire per frenare l’ascesa dei partiti di destra, che il presidente della Liga è stato preso di mira dai media per aver pubblicamente dichiarato di supportare un partito conservatore. Fattori non di poco conto per inquadrare l’episodio di Valencia.

Una società che è incapace di vedere e di combattere altro se non il razzismo è una società che dimentica volutamente tutti coloro per cui rinuncia a combattere, discriminando così tra vittime di serie A e vittime di serie B per le quali non è importante (o utile) muovere un dito. Il punto è che non è solo problema di razzismo o di omofobia, né un problema circoscritto ai campi sportivi, ma quella della violenza e della discriminazione è una piaga diffusa in tutti gli ambiti della società: dalla scuola alla politica, dal mondo del lavoro ai rapporti di vicinato, dal campo sanitario a quello giudiziario.

Spettacolarizzare i singoli episodi di razzismo (facendo leva, ad esempio, sulla notorietà dei protagonisti) per combattere una battaglia politica aiuterà forse a guadagnare qualche voto ma non servirà a difendere le vittime o porre fine alle violenze. Quando la politica non ha interessi da ricavare e l’ideologia dominante non ha punti da raccogliere, nessuna campagna si attiverà a favore di coloro che, nel vissuto quotidiano, vengono discriminati e messi al margine della società restando lontano dalle telecamere. Per questo l’occhio vigile del Grande Fratello punisce impietosamente ogni offesa a certe categorie di persone (in nome dell’antirazzismo e dell’anti omofobia) mentre abbandona altre vittime dell’odio e della violenza al loro destino. E se a commettere un’ingiustizia, una discriminazione contro altri è un esponente del sistema, ogni campagna o denuncia pubblica verrà soffocata per non interferire e si soprassiederà sull’accaduto senza che nessuno paghi per il dolore arrecato. Per questo è necessario avere occhi per discernere gli eventi andando oltre gli slogan mediatici utili al sistema e alla culturale dominante.

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