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Una società fondata sulla violenza non ha alcun futuro

È un tempo strano quello che stiamo vivendo, vediamo come la “famiglia umana” che porta avanti la storia sta procedendo velocemente ed inesorabilmente verso l’annullamento della coscienza, non produce i giusti anticorpi per evitare che milioni di persone soffrano la fame e le guerre e che il pianeta si salvi dalla distruzione.

Ma ciò che più lascia sconcertati e l’aggravarsi dei comportamenti individuali, che sempre più calpestano la dignità di altri esseri umani, evidenziando una brutalità e un’assenza di rispetto senza precedenti.

È come se fossero venuti meno i pilastri culturali che hanno retto le Comunità per secoli: a quelli in cui il valore delle relazioni familiari, amicali, sociali fondava i comportamenti, si sono sostituiti fragili stereotipi di anarchia culturale e sociale.

Così ha poco valore la vita – dal concepimento fino alla morte -, ha poco valore la famiglia tradizionale, ha poco valore la rete amicale tangibile – sostituita da quella virtuale -, ha poco valore la lealtà e la correttezza nei comportamenti sociali.

È chiaro che una società fondata sulla violenza non ha alcun futuro, il ritorno a “Caino e Abele” è disumano, perché porta ciascuno di noi a considerare accettabili le situazioni in cui la dignità delle persone è calpestata, a considerare che ci siano guerre giuste, a considerare che ci siano vite che valgono più di altre.

Manca ancora quella consapevolezza che non basta una giustizia basata su regole pensate da una casta, ma occorre “qui ed ora” una vera equità fra gli uomini, l’applicazione universale dell’articolo 3 della Costituzione italiana, per cui “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

La volontà di potenza inghiotte ogni speranza, appiattisce la realtà in una dimensione orizzontale, spiana la via che porta al nulla. Nonostante questo processo appaia irreversibile, a mio avviso c’è un antidoto vero ed efficace contro questo processo distruttivo ed è la mitezza, la via per promuovere il dialogo, i legami sociali, la valorizzazione delle differenze, “abitare” le relazioni umane.

“Beati i miti perché possiederanno la terra”. È davvero possibile o è solo utopia? Ma chi sono i miti? “Sono i “forti”, coloro che non si piegano, coloro che sanno porgere l’altra guancia, perché sanno dominare la reazione violenta istintiva all’offesa. Il mite è veramente il padrone della storia (“possiederanno la terra”). Colui che è violento è sempre un debole. Il mite è colui che ha la chiarezza della giusta ragione e che non ha nulla di proprio da difendere, neanche la vita come dice il nostro schema, ma ha soltanto la giustizia da portare avanti, quindi non si piega mai. La condivisione diretta con il povero è la pratica concreta della non violenza“. (don Oreste  Benzi)

Una mitezza da non confondere con la remissività o con l’umiltà. È una virtù debole, propria di chi non ha potere, e al tempo stesso potente, poiché anticipa un mondo migliore su questa terra.

La mitezza non è una virtù reciproca: «Il mite non chiede, non pretende alcuna reciprocità: la mitezza è una disposizione verso gli altri che non ha bisogno di essere corrisposta per rivelarsi in tutta la sua portata.

Così, di fronte ad una società che si fa sempre più violenta, nonostante sia difficile, occorre perseverare nella mitezza lasciandosi sommergere dalla violenza, gettando un seme di speranza: la speranza che, alla fine di tutto, prevalga il bene sul male, o la speranza nella natura fondamentalmente buona degli esseri umani, una natura che lavora da sé per liberarsi delle scorie che la rendono cattiva.

Nella lettera di San Paolo a Tomoteo si legge dell’uomo mite: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”. Si tratta di combattere una buona battaglia che, nei risultati sperati, non contraddice affatto ma ribadisce la fedeltà alla mitezza. La mitezza è una virtù che si impara, non è innata ma è un vero e proprio modo di essere nel mondo.

La mitezza non è buonismo. Non è rassegnazione, né remissività di fronte all’ingiustizia o alla violenza. Non è il frutto della paura. Non cerca il facile consenso. Non è remissività, compiacenza, passività, evasività perché sono atteggiamenti che alimentano l’ingiustizia, complicano i problemi, non costruiscono soluzioni durature.

C’è in gioco una terra da ereditare e offrire alle nuove generazioni ed è per questo che è necessaria la mitezza, che aborrisce l’aggressività e la verità usata come clava, che è la forza che si fa carico delle differenze per trovare strade comuni da percorrere, che punta a costruire un bene comune dove nessuno è zittito e dove la voce di chi non ha voce è ascoltata, che è sorella dell’indignazione e del coraggio. Che partorisce giustizia e verità senza calpestare la dignità di nessuno. La mitezza, insomma, è una scelta consapevole. C’è una primavera che si prepara in questo inverno apparente (Giorgio La Pira)

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