Lo smart working senza accordo individuale, previsto dal governo con il lockdown a inizio emergenza Covid, durerà fino al 30 aprile 2021 come stabilito dal decreto Milleproroghe (conv. nella legge n. 51/2021), con una procedura semplificata in deroga rispetto a quanto previsto dalla legge n.81/2017.
Il c.d. “smart working emergenziale” ha trovato rapida e generalizzata applicazione in concomitanza con la crisi epidemiologica ed economica a partire dal marzo 2020: è solo un parente prossimo dell’istituto già da prima disciplinato, essendone profondamente diverso per finalità, fonte regolatrice dei reciproci impegni e modalità di attuazione.
Quella che era una semplice possibilità di accordo fra le parti del contratto di lavoro, per regolare autonomamente il bilanciamento tra esigenze lavorative e non, è divenuto un obbligo legale per entrambi, ove applicabile in relazione alla tipologia di attività, al fine di evitare la vicinanza tra le persone.
È consapevolezza diffusa che l’esperienza emergenziale lascerà in eredità al mondo del lavoro post emergenza almeno due cose: un utilizzo del lavoro a distanza di gran lunga superiore rispetto a prima, e la necessità di un adeguamento dei criteri che lo regolano, che faccia tesoro e valorizzi quanto emerso dal suo massiccio utilizzo. Nell’opera di riconfigurazione normativa e/o contrattuale della organizzazione e gestione del lavoro a distanza – comunque denominato – in coerenza con i principi costituzionali e con la normativa nazionale in materia di orario di lavoro sopra richiamati, dovranno pertanto essere recepite in modo efficace le indicazioni contenute in una recente Direttiva UE: il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione del 21 gennaio 2021, recante raccomandazioni alla Commissione UE sul diritto alla disconnessione del lavoratore in smart working, che poi sono state formalizzate in una proposta di direttiva.
Quest’ultima da un lato rileva che “un utilizzo adeguato degli strumenti digitali può costituire un valore aggiunto per i datori di lavoro e per i lavoratori in quanto consente una libertà, indipendenza e flessibilità maggiori per organizzare meglio l’orario di lavoro e le mansioni lavorative, ridurre il tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro e facilitare la gestione degli obblighi personali e famigliari, creando in tal modo un equilibrio migliore tra vita privata e vita professionale”. Dall’altro osserva che “le necessità dei lavoratori variano considerevolmente e sottolinea a tale proposito l’importanza di sviluppare un quadro chiaro che promuova la flessibilità personale e contemporaneamente la protezione dei diritti dei lavoratori”.
In tale contesto il diritto alla disconnessione è, secondo l’UE, “un diritto fondamentale che costituisce una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro della nuova era digitale (…) particolarmente importante per i lavoratori più vulnerabili e per quelli con responsabilità di assistenza”. Un’organizzazione del lavoro a distanza con modalità non penalizzanti per la persona genera effetti positivi in tutti gli ambiti in cui la persona si esprime, sia fuori che all’interno della sfera lavorativa, quindi anche per il contesto in cui la prestazione si svolge e per il datore di lavoro.
Spesso le situazioni di emergenza, non programmabili, impongono un temporaneo riposizionamento della gerarchia dei beni da tutelare e dell’agenda delle priorità di azione, e ciò talvolta giustifica alcune forzature. Ma in una prospettiva di ri-costruzione del mondo del lavoro, profondamente segnato dalla pandemia, è bene cominciare a guardare, oltre che all’oggi, a persone, lavoro e imprese del dopo emergenza, in cui si tragga il massimo beneficio dalle opportunità offerte dalla digitalizzazione: ossia utilizzandola al servizio dei valori primari che caratterizzano una buona relazione professionale.