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L’opportunità giubilare per la “Chiesa di comunione”

L’appuntamento giubilare  come segno di quella “rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza”, secondo l’auspicio del Papa. Francesco rammenta le radici di questo momento “di grande rilevanza spirituale, ecclesiale e sociale”. A partire dal primo Anno Santo indetto nel 1300 da Bonifacio VIII fino al Giubileo della Misericordia del 2016. Nel corso dei secoli l’Anno Santo ha rappresentato un “dono di grazia” per tanti fedeli, con pellegrinaggi, indulgenze, testimonianze vive di fede. A quattro mesi dall’inizio del Giubileo la nuova evangelizzazione ha bisogno di confrontarsi con tutti i mezzi messi a disposizione dalla modernità. La rete internet, i social, l’età digitale sono luoghi di evangelizzazione e di spiritualità. Non può o deve esserci conflitto tra questi mondi. Sono realtà o ambiti da evangelizzare e dove la presenza e la mediazione dei cattolici è necessaria e fondamentale per fare crescere il mondo in umanità. Con l’elezione del papa argentino siamo entrati in una nuova fase della ricezione del Vaticano II. Dal Concilio in avanti, grazie anche ai pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il cammino ecumenico a livello di vertice ma soprattutto a livello di base è avanzato sia con la Chiesa ortodossa sia con le chiese riformate. Molti i passi compiuti e ancora altri saranno sicuramente proposti. Jorge Mario Bergoglio viene da un continente, l’America Latina, dove i pentecostali, da alcuni definiti “sette”, macinano conversioni e diffondono il Vangelo. Un fenomeno guardato con sospetto, ma anche interesse, dal mondo cattolico.

Giubileo
Foto di Alicia Quan su Unsplash

Il teologo brasiliano della liberazione Clodovis Boff, non certo un simpatizzante, ha avuto a rilevare, per esempio, che l’emozione rischia di diventare emozionalismo ai limiti dell’isteria, a volte non si crea comunità, ma una sorta di supermercato religioso, il forte senso di identità può trasformarsi in arroganza e settarismo, la lettura biblica è fondamentalista. E vi è una carenza di cultura teologica, il rigore etico può scadere in perbenismo, vi è il rischio di manipolazione delle masse, posizioni politiche spesso alienate e alienanti, un atteggiamento anti-ecumenico e anti-dialogico. Ma se mettiamo sulla bilancia luci e ombre, il bilancio è fondamentalmente positivo. I poveri ci guadagnano perché le Chiese pentecostali li consolano, li inquadrano, danno loro dignità. E Cristo è annunciato. Anche Jorge Mario Bergoglio conosce limiti e dinamismo di questo mondo. Non di rado ha voluto incontrare gli esponenti della galassia carismatica, cattolici e protestanti. Come quando, il primo giugno del 2014, si recò allo stadio Olimpico di Roma per incontrare i partecipanti a un evento organizzato dal Rinnovamento nello Spirito Santo insieme alla International Charismatic Catholic Renewal Services (Iccrs) e alla Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowship (Cfccf), inchinandosi per farsi benedire. Gesto che poi ha rievocato chinando il capo, questa volta in Vaticano, di fronte a un gruppo di un centinaio di pastori evangelici di orientamento pentecostale di diverse parti del mondo, guidato da Giovanni Traettino. Una data che va sicuramente impressa nelle memoria è il giorno della visita nel Tempio Valdese di Torino, un momento storico, a conclusione della visita pastorale nella città della Sindone nel giugno del 2015.

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Papa Francesco. Credit: CARLO LANNUTTI

Francesco ha subito dichiarato che la Chiesa, per essere “dei poveri”, dev’essere “povera” essa stessa. Lui ne parla spesso, ne dà l’esempio con lo stile della sua vita, e fa vedere quanto vuole che le strutture della Chiesa, proprio a cominciare da quelle del Vaticano, facciano capire come la semplicità e la trasparenza delle operazioni debbano manifestare che la finanza non è dominante, ma è solo uno strumento per i rapporti di carità e di fraternità. E questo risulta così evidente che dall’America del Nord si è subito iniziato a metterlo in guardia dall’accusare il capitalismo, che con le sue sovvenzioni permette alla struttura vaticana di sopravvivere. Ma papa Francesco sente che solo uno stile di povertà e di solidarietà consente alla Chiesa di essere la Chiesa di Cristo e del Vangelo. L’altra finalità che emerge dalle parole e dallo stile di papa Francesco è quella di una Chiesa di “comunione“.

Giubileo
Foto di falco da Pixabay

Oggi si contesta alla Chiesa cattolica di essere “clericale”. Ovviamente non si può volere l’annullamento della gerarchia, come in alcune Chiese cristiane è avvenuto (e sono quelle che ufficialmente venivano declassate – proprio per questo – da “Chiese” a “Comunità cristiane”), ma si vorrebbe che la gerarchia, a tutti i livelli, si riconoscesse “al sevizio” (in latino è proprio “ministerium”, che include il meno-minus di fronte al più – il magis – che è l’insegnamento, il “magistero”), con la priorità quindi dell’intero “popolo di Dio“, costituito da quanti, per il Battesimo, sono inseriti in Cristo, divenendo così – per Lui, con Lui e in Lui – sacerdoti, profeti e pastori. La misericordia di Dio verso l’uomo è il segno più grande
dell’Amore per ogni sua creatura. Questo tratto distintivo, il più profondo nella dimensione della fede cristiana, è costitutivo della Chiesa in uscita proposta da Francesco che è l’aggiornamento della Chiesa in ascolto della storia del Vaticano II. Il legame è dunque profondo e vero, così come la capacità di comunicare di Jorge Mario Bergoglio in modo semplice ma nello stesso tempo non banale, il messaggio di salvezza di Cristo al mondo.

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