Spesso basta guardare nel cuore delle parole per capire se ancora incarnano l’essenza di ciò che rappresentano. Il più della volte, fatta questa analisi etimologica, è lo sconforto a prendere il sopravvento. Tutti parliamo di sindacati, e le associazioni di tutela dei lavoratori sono riconosciute come una parte importante, se non fondamentale, della società moderna. Bene, quella parola viene dal greco e si compone di due parti, che per comodità citiamo con caratteri latini: “syn” che vuol dire insieme, e “dike” giustizia. Insieme per ottenere giustizia, dunque.
L’ultima accelerazione – ma potremmo definirla l’ultima provocazione – della Cgil rispetto a una mobilitazione generale non preventivamente condivisa da altri colossi del sindacato come la Cisl, ad esempio, è la testimonianza di come ormai nel settore sindacale l’approccio alla condivisione, allo stare insieme, sia un ricordo lontano. Interessi di tipo politico guidano le scelte non solo comunicative ma sostanziali dell’azione dei sindacati. Eppure la concertazione dovrebbe essere non solo l’obiettivo ma il modus operandi di un sindacato. Un aspetto che ormai è diventato marginale, inutile, persino fastidioso; col risultato di far diventare le organizzazioni dei lavoratori sempre meno credibili, spaccate già in partenza e dunque non più riconosciute pienamente né dalla base né dalla controparte.
C’è poi il discorso sulla “giustizia”, che viene intesa solamente come “tutela del lavoratore”. Su questo punto da anni c’è un equivoco lessicale che però si è trasformato in una strategia, in un approccio sistematico: la tutela del lavoro, di per sé sacrosanta, si è piegata all’interesse di tutelare il lavoratore, senza l’indispensabile attenzione rispetto alla produttività dello stesso. Il concetto di meritocrazia è stato dunque minato alla base, e il combinato disposto con le raccomandazioni di stampo politico ha fatto collassare diversi pezzi del settore statale.
Fin qui il rapporto tra sindacati. Poi c’è un altro aspetto grave, quello del confronto tra sindacati e politica, che non esiste… Ma siamo andati addirittura oltre lo “scontro”, al mostrare i muscoli: siamo alla negazione dell’esistenza di una parte con la quale sedersi a un tavolo e parlare, un oblio forzato che non fa bene al Paese. In un momento storico in cui i problemi economici e sociali rischiano di spazzare via a cascata un intero sistema, l’unico modo per sopravvivere è remare tutti nella stessa direzione. Le forze vanno unite, non lacerate, ed è esattamente l’opposto di ciò che sta accadendo, decretando così il fallimento della politica.