Il viaggio apostolico del Papa in Iraq è destinato ad essere una pagina storica per tutte le religioni e per l’umanità intera, perché in quelle terre tra il Tigri e l’Eufrate la fratellanza umana assume un significato trascendentale e al tempo stesso terreno, dal momento che affondano lì le radici di tutte le confessioni che si riconoscono figli dello stesso padre.
E nell’antica Ur dei caldei, dove si è svolto l’incontro interreligioso con Francesco, che è partito il viaggio di Abramo verso la Terra Promessa. Qui Abramo parlò per la prima volta con Dio iniziò la sua missione che lega profondamente i destini di ebrei, cristiani e musulmani. Ma il Pontefice sa molto bene che l’Iraq è anche uno dei luoghi del mondo dove la violenza fratricida si è espressa nei modi più sanguinosi, non può dunque esserci una vera convivenza tra religioni senza un Iraq e un Medio Oriente pacificati.
Un passo storico di questo Viaggio è stato sicuramente l’apertura del dialogo con il mondo sciita, tramite l’incontro nella città santa di Najaf con il grande ayatollah Ali al-Sistani, uno dei religiosi più rispettati dell’islam sciita. Un evento che arriva dopo il documento sulla ‘Fratellanza umana per la pace nel mondo’, siglato nel 2019 ad Abu Dhabi con il grande Iman Ahamad al-Tayyib, dell’università di Al-Azhar al Cairo, che invece è considerato una delle massime autorità dell’Islam sunnita.
Il rispetto reciproco degli uomini di fede diventa così motore di pace ed elemento di stabilizzazione non solo per tutta la regione del Medio Oriente ma per le comunità di fedeli di tutto il mondo. Il Papa scegliendo i suoi interlocutori e le tappe del viaggio ha quindi mandato segnali importantissimi a tutta la comunità internazionale. Un’operazione nel segno della fede e delle radici comuni che unifica sciiti, sunniti, cristiani e tutte le altre minoranze dell’Iraq.
In questa prospettiva la pluralità e la libertà religiosa sono principi da cui discendono tutti gli altri diritti umani. Per questo motivo sono stati ricchi di significato i due giorni finali del Viaggio che Francesco ha passato nel nord dell’Iraq, a Mosul, la capitale amministrativa del governatorato di Ninive e seconda città del Paese, che negli anni di occupazione dello Stato Islamico ha visto la persecuzione di tutte le minoranze religiose da parte delle milizie del califfato; e a Qaraqosh, principale città cristiana del Paese, nella Piana di Ninive, dove i cristiani che non hanno preso la via della diaspora stanno lentamente tornando alla normalità.
A Mosul il Santo Padre ha pregato per le vittime della guerra tra le macerie della città distrutta e che ha visto la fuga di oltre 120.000 cristiani, su un totale di 1.846.500 abitanti, con l’arrivo dell’Isis. Poi l’incontro con la comunità cristiana di Qaraqosh, dove il Papa è stato accolto nella cattedrale di Al-Tahira con canti in aramaico, la lingua madre del cristianesimo siriaco in Iraq, quella parlata da Gesù. Tutto per testimoniare che qui i cristiani non sono ospiti ma elemento fondante della società irachena.
“Questo nostro incontro dimostra che il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola” ha detto Francesco ha fedeli assiepati ma arrivando nelle case di tutto il mondo. Qui si gioca anche la partita delle grandi migrazioni e della convivenza. L’esodo di migliaia di cristiani iracheni – passati da 1.500.000 nel 2003 a circa 500mila di oggi – impoverisce tutta la comunità nazionale, che viene privata di una parte culturalmente, politicamente ed economicamente molto attiva e capace di ammortizzare le tensioni tra le diverse comunità religiose.
Insomma, è da questa terra dove tutto ha avuto inizio che verrà segnata la direzione della speranza per i Cristiani e i credenti di tutto il mondo. “Carità, amore e fratellanza sono la strada da percorrere” ha detto ieri il Papa conversando in aereo con i giornalisti nel viaggio di ritorno. Crocevia di questo percorso obbligato è e sarà l’Iraq.