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I segni distintivi del magistero di Papa Benedetto XVI

Benedetto XVI lascia un’eredità culturale e teologia che forse non ha pari in questi ultimi sessant’anni di periodo post conciliare. Il rapporto tra fede e ragione, la critica al relativismo e alla perdita delle radici cristiane dell’Occidente, fino alle riflessioni sulla liturgia e la musica sacra sono tutti segni distintivi del suo magistero che, pur affermando la Verità salvifica di Cristo, è stato sempre aperto al confronto e al dialogo con le altre religioni e con gli ambienti più laici del mondo della cultura.

L’orizzonte del pontificato di Benedetto XVI (e di tutta la produzione teologica di Joseph Ratzinger) può essere compreso solo ricordando il suo impegno per riaffermare i cosiddetti principi non negoziabili dell’antropologia umana che trovano fondamento assoluto in Dio. Ovvero una concezione morale cristiana che afferma il primato della vita, della famiglia e della libertà educativa.

La questione della “non negoziabilità” emerge per la prima volta nella Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica emanata il 24 novembre del 2002 dalla Congregazione per la dottrina della fede (ex Sant’Uffizio). La Nota era firmata dal cardinale Joseph Ratzinger. In pratica nel documento si afferma che il cristiano è chiamato “a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili”.

La Congregazione guidata dal cardinale Ratzinger in pratica riconosce che le questioni etiche, nelle quali è in gioco l’essenza dell’ordine morale che riguarda il bene integrale della persona, sono quelle che emergono nelle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia e che concernono la tutela e la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso aperto alla vita, a cui non possono essere equiparate giuridicamente altre forme di convivenza. La Nota infatti richiama anche la libertà di educazione ai genitori per i propri figli, la tutela sociale dei minori, la liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù e il diritto alla libertà religiosa. Il presidente della Cei Matteo Maria Zuppi in questi giorni ha infatti riconosciuto la grandezza di questo impegno epocale, ricordando che Ratzinger “ha cercato di unire fede e ragione e di parlare all’uomo moderno delle verità di sempre“.

Questi principi riconosciuti da Ratzinger cardinale hanno guidato ovviamente anche il magistero di Papa Benedetto XVI. Non è un caso infatti che la prima enciclica del suo pontificato, Deus Caritas Est, è dedicata all’amore, in un’ottica tutt’altro che sessuofoba. Benedetto XVI esalta la novità portata dalla visione dell’amore del cristianesimo: “L’eros, posto nella natura dell’uomo dal suo stesso Creatore, ha bisogno di disciplina, di purificazione e di maturazione per non perdere la sua dignità originaria e non degradare a puro «sesso», diventando una merce. E ancora “la sfida dell’eros può dirsi superata quando nell’uomo corpo e anima si ritrovano in perfetta armonia. Allora l’amore diventa, sì, «estasi», però estasi non nel senso di un momento di ebbrezza passeggera, ma come esodo permanente dall’io chiuso in sé stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio: in questo modo l’eros può sollevare l’essere umano «in estasi» verso il Divino”.

Secondo Benedetto XVI i valori non negoziabili che riconosco la dignità di ogni vita dal concepimento alla morte naturale diventano linfa per quell’amore per il prossimo radicato nell’amore di Dio. Questo succede perché in una visione completamente relativista del bene del male alla fine l’unica bussola dell’uomo diventano i suoi desideri e il suo ego. Ratzinger lo spiega bene all’inizio del suo pontificato, nell’omelia della Messa Pro Eligendo Pontifice, 18 aprile 2005: “Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. In definitiva l’insegnamento che ci lascia Papa Benedetto XVI è che “in Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come ‘un cembalo che tintinna’”.

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