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Il segnale da cogliere per interpretare l’imminente voto di mid-term

Se c’è un segnale da cogliere, per interpretare l’imminente voto delle elezioni di metà mandato negli Stati Uniti, questo è la chiamata a raccolta per la democrazia fatta da Joe Biden l’altro giorno. Non è un segnale di sicurezza: al contrario, ricorda quando Obama nel 2014, a pochissime ore dalla fine della sua presidenza, fece appello al voto della comunità afroamericana affinché votasse in blocco contro Trump. Lui, che era arrivato intelligentemente alla Casa Bianca e per otto anni aveva governato senza fare una sola volta riferimento al colore della pelle. Era – lo si capì nell’arco di un mattino – la mossa della disperazione: i sondaggi iniziavano a dare perdente e senza speranza Hillary Clinton.

Biden, con il suo appello, si è rivolto alla base democratica con lo stesso tono. Segno che le speranze di una buona performance sono abbastanza ridotte. Non se ne adonti, il Presidente, se le cose dovessero andargli male: è capitato a quasi tutti i suoi predecessori, si pensi sono a Ronald Reagan. Quanto ai rapporti con una Corte Suprema orientata a destra, trovi consolazione nel precedente di Franklin Delano Roosevelt. Né Reagan né Roosevelt ne hanno tratto, in fondo, nocumento. Le chance di passare alla storia nella lista dei buoni non sono compromesse, nemmeno nel peggiore dei casi. Ma, se si parla di Corte Suprema, un insegnamento deve pur arrivare dalle parti di Pennsylvania Avenue. Biden ha usato – non senza una buona dose di cinismo – il tema dell’aborto per compattare il proprio fronte interno. Alla lunga, e nemmeno troppo lunga, si è dimostrato che un atteggiamento ideologico in materia non premia nessuno. Non ha premiato lui, infatti, così come in passato non ha premiato i più scalmanati tra i pro-life. La lezione va appresa e messa a frutto: la crociata non funziona, né in un senso e nemmeno nel senso opposto. Soprattutto, in questi tempi che registrano finalmente il pendolo oscillare in direzione della difesa della vita del nascituro, si eviti di considerare l’aborto come un diritto innato della donna. E, al contempo, si badi a non affrontare la questione mossi da spirito di rivalsa. Il tema è troppo grande, troppo profondo, per abbandonarlo alle umane debolezze.

Questo però è solo uno dei temi delle elezioni di mid-term. A influire sul loro esito c’è, in particolare, lo stato dell’economia. Un paio di mesi fa le cose andavano meglio, in America, grazie alle leggi di spesa introdotte dalla Casa Bianca. Ora, in virtù della destabilizzazione economica dovuta alla guerra in Ucraina, l’inflazione galoppa come ai tempi del Vietnam e il ceto medio ha di nuovo paura. Tutto fieno per la cascina repubblicana. Un motivo in più per gli americani per chiedere a Zelensky, una volta raggiunto un punto di forza sul campo, di trovare un accordo. E lui, sapendo che un Congresso repubblicano non sarà troppo generoso con lui, alla fine cederà. Si vis pacem eccetera eccetera. Ad ogni modo, sarà solo uno dei paradossi che si aprirà dopo il 9 novembre.

L’altro paradosso è tutto americano, anche questa volta. Non è detto che Biden avrà solo da rimetterci, da una sconfitta. Innanzitutto Donald Trump si sentirà pronto alla rivincita, e annuncerà la discesa in campo in vista del 2026. Al netto degli esiti dell’inchiesta sull’assalto al Congresso, lo scossone tra i repubblicani si farà sentire immediatamente: Mike Pence, che a Trump impedì di fare il colpo di stato lo scorso anno, aspira da moderato alla nomination. Lo stesso fa, da campione della destra, DeSantis. Si profila già il ticket e, se non sarà così, il Grand Old Party potrebbe implodere – sul modello dei Democratici del 1968 – dissolvendosi tra le scintille. Quanto a Biden, avrebbe gioco facile nel presentarsi come l’unico in grado di battere Trump: lo ha già fatto, e agli americani piace ancora “L’Uomo che uccise Liberty Valance”. Certo, per riuscire a farlo ci vorrebbe John Wayne. Ma, in mancanza di meglio, i democratici saranno ben disposti ad accontentarsi di Sleepy Joe.

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