Dobbiamo stare attenti ai messaggi che mandiamo agli uomini e alle donne che sbarcano sulle nostre coste per cercare aiuto. Sono persone distrutte dal dolore e dalla fatica, ma ragionano. Lo testimonia il fatto che appena arrivati i ragazzi africani – in particolare i richiedenti asilo politico – vengono messi a studiare per imparare la nostra lingua e integrarsi. Come capiscono ciò che gli insegniamo, recepiscono anche altre informazioni. E se ciò che mostriamo è odio, avversione, rifiuto o al massimo compassione, dobbiamo sapere che stiamo coltivando sentimento uguali e contrari.
Sono ragazzi, non hanno chiaro quale sarà il loro futuro. In questo sono come i nostri, con l’aggravante del fatto che arrivano da un mondo di violenza. Se li rifiutiamo, se gli trasferiamo disprezzo, otterremo in cambio la stessa moneta. E se poi qualcuno venisse avvicinato da qualche estremista, troverebbe magari un terreno fertile che non ci sarebbe stato se avessimo insegnato l’accoglienza e la tolleranza.
A Nizza l’assassino della Promenade des Anglais, Mohamed Lahouaiej Bouhlel, si è trasformato in jihadista in poche settimane. Al netto delle indagini su tutte le ombre che il dramma porta con sé, resta il fatto che coltivare nell’intolleranza queste persone aumenta il rischio di deviazioni. A questo non pensiamo mai? Se vogliamo parlare in senso prettamente tecnico, la sicurezza si crea evitando i conflitti, sminando le situazioni che possono evolversi in pericolo. In questo momento stiamo facendo esattamente l’opposto, tranne qualche lodevole iniziativa.
Se poi vogliamo parlare di umanità, allora bisogna ricordarsi che se qualcuno sta cadendo, non tendergli la mano è un gesto che distrugge il concetto stesso di umanità. Siamo “umani” solo se rispettiamo tutte le sfaccettature che diamo al concetto: l’insieme dei caratteri essenziali e distintivi della specie umana, certo, ma anche solidarietà, fratellanza, altruismo, carità, tolleranza, indulgenza. Non dimentichiamolo.