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Sciopero generale, criteri di legge e di buonsenso

Per giorni, attraverso i media, si è sviluppata una tempesta nel catino dei litigi perditempo all’italiana. Sindacalisti frettolosi e disattenti hanno proclamato uno sciopero generale senza che ci fossero i presupposti tecnico giuridici, ed in assenza di motivazioni importanti per proclamarlo. Va detto che lo sciopero generale, in Italia e nel mondo industrializzato e democratico, si decide solo quando ci si trova di fronte ad attentati gravissimi contro la democrazia e le libertà individuali e collettive, contro decisioni economiche e politiche che disabilitano economia e garanzie sociali. Non mi sembra, tuttavia, che ci si trovi in tali congiunture politiche, aldilà del malcostume dei palloni che si gonfiano contro i propri avversari.

Altra valutazione si può dare sulla economia che, purtroppo, alleggerisce da tempo per ignavia generale in tale modo, peraltro rendendo traballanti le stesse garanzie sociali: risultato di gran parte della politica e del sociale che sa “lottare” solo per distribuire denari accumulati nel passato a mezzo di bonus ed assistenza, ma non a determinare la crescita dello sviluppo per provvedere al futuro. San Giovanni Paolo II, che ha conosciuto il duro lavoro e che ha combattuto con vigore la sua buona battaglia per i lavoratori come uomo e Papa, ebbe modo di dire che lo sciopero generale è uno strumento assai importante e va usato solo in casi eccezionali.

Aveva imparato anche lui, in Polonia e poi in Italia, che nelle battaglie sindacali vere, gli strumenti da utilizzare per tutelare il lavoro sono innumerevoli e occorre in ogni caso saperli usare con giudizio e gradualità. Innanzitutto le rivendicazioni devono misurarsi con il contesto economico e casomai a concorrere a che migliori. Dovremmo tutti sapere che più entrate ci sono e migliori condizioni sociali si possono sperare.

Altro punto per chi vuole un risultato è quello di entrare nell’idea che si può raggiungere un accordo, non ingaggiando una gara di sumo dove l’unico che vince e colui che atterra l’altro. Un accordo è sottoscritto in due, ed ambedue i protagonisti devono sapersi dirigere per metà strada verso l’altro se tengono davvero all’accordo. Naturalmente può accadere che, in più gradi delle trattative, possano essere insufficienti le condizioni raggiunte, ed allora sono tante le possibilità per rendersi più forti.

Oltre a proposte ragionevoli, è necessaria la simpatia dei cittadini che si sviluppa nel coinvolgimento e conoscenza dei temi, assemblee cittadine e manifestazioni pubbliche. Ma lo sciopero, e ancor più lo sciopero generale, non può che essere proclamato con tutti i sindacati e rispettando le leggi. Purtroppo Landini ha proclamato lo sciopero prima che si conoscesse ogni elemento della “finanziaria” con fretta inusuale e senza l’accordo della Cisl.

Luigi Sbarra, pur disposto a programmare manifestazioni di sabato per migliorare le decisioni del governo, ha apprezzato il dato che due terzi della programmazione della spesa ha riguardato il taglio del cuneo fiscale che porta in busta paga un centinaio di euro medi ed il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Ma oltre alla fretta e a predisporre iniziative spropositate, Landini ha tentato anche di forzare le leggi programmando lo sciopero generale a singhiozzo con meno della metà delle categorie.

C’è da chiedersi: si è davvero riflettuto sui risultati per i lavoratori, oppure la posta riguarda altro? Comunque è bene che la precettazione si rispetti a tutela della corretta erogazione dei servizi per i cittadini. Opporsi alla legge non sarebbe stato saggio, esponendosi a ribellismi mai amati da organizzazioni sociali responsabili ed affidabili

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