“La più grande scienza, in cielo e in terra, è l’amore”, testimonia Madre Teresa. Ogni 10 novembre ricorre la Giornata Mondiale della Scienza per la Pace e lo Sviluppo. Mai quanto adesso è importante umanizzare le questioni scientifiche per impedire che il progresso tecnologico diventi un boomerang: dai temi della cyberwar a quelli dell’intelligenza artificiale, dalle frontiere della bioetica a quelle della ricerca. “Le cose belle prima si fanno poi si pensano”, diceva don Oreste Benzi e in effetti le scoperte scientifiche sono una prova del proficuo dispiegamento della creatività di uomini e donne in ogni angolo del pianeta. I problemi sono legati piuttosto alle storture di un sistema che, come avverte Francesco, si mantiene sulla cultura dello scarto, alimentando disparità e ingiustizie. Quando al centro del sistema non c’è più l’uomo ma il denaro e quando il denaro diventa un idolo, gli individui e le comunità sono ridotti a semplici strumenti di un sistema sociale ed economico caratterizzato, anzi dominato da profondi squilibri. E così si scarta quello che non serve a questa logica. “Quale sarà il prossimo scarto?”, si chiede Jorge Mario Bergoglio, esortando tutti a fermarsi in tempo, a non rassegnarsi, a non considerare un simile stato di cose come irreversibile.
Occorre cercare di costruire una società e un’economia dove siano al centro l’uomo e il suo bene, e non il denaro. C’è bisogno di etica nell’economia, nella politica e anche nella scienza. Tanti capi di Stato, leader politici e scienziati che il Pontefice ha incontrato lungo la sua missione hanno deplorato un preoccupante vuoto morale. Hanno detto: i leader religiosi devono aiutare, dare indicazioni etiche. L’imminente Giubileo confermerà la leadership morale del pianeta. Però il pastore può fare i suoi richiami ma, come già ricordava Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate, servono uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo, consapevoli che l’amore e la condivisione da cui deriva l’autentico sviluppo, non sono un prodotto delle nostre mani, ma un dono da chiedere. E al tempo stesso bisogna che le nuove generazioni si impegnino, ad ogni livello, nella società, nella scienza, nella politica, nelle istituzioni e nell’economia, mettendo al centro il bene comune. Solo così la pace diventerà ben più dell’assenza di guerra, bensì una condizione permanente, connaturata alla convivenza.
Dunque non si può più aspettare a risolvere le cause strutturali delle ingiustizie per guarire le società da una malattia sociale che può solo portare verso nuove crisi. Servono programmi, meccanismi e processi orientati a una migliore distribuzione delle risorse, alla creazione di lavoro, alla promozione integrale di chi è escluso. I frutti della scienza non possono essere appannaggio dei pochi ricchi nell’indifferenza verso i molti indigenti. E’ Gesù stesso che ci dice qual è il “protocollo” sulla base del quale noi saremo giudicati ed è quello che leggiamo nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: ho avuto fame, ho avuto sete, sono stato in carcere, ero malato, ero nudo e mi avete aiutato, vestito, visitato, vi siete presi cura di me. La cultura dello scarto sempre più diffusa nella nostra società ci allontana dalla necessità di “toccare la carne” degli emarginati. Abbiamo la responsabilità di contemporaneizzare il messaggio cristiano e, quindi, il dovere di coltivare una particolare intelligenza della storia e della modernità, utilizzando tutti gli strumenti che la ricerca tecnologica consente, restando padroni di sé, della propria vita e della propria libertà.
Va mantenuto alto lo sguardo sulla sacralità di ogni persona umana affinché la scienza sia veramente al servizio dell’uomo, e non l’uomo al servizio della scienza. La riflessione scientifica utilizza la lente d’ingrandimento per soffermarsi ad analizzare determinati particolari. E grazie anche a questa capacità di analisi non dobbiamo stancarci di denunciare gli attentati alla vita. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente.