I santi Pietro e Paolo vengono ricordati insieme perché sono le colonne della Chiesa. L’origine della loro fede era in Gesù Cristo, ma è arrivata in tempi diversi. Pietro è stato chiamato di persona: “Mi ami tu?”, gli disse Gesù apparendo dopo la Resurrezione. Mentre Paolo venne chiamato sulla via di Damasco: “Perché mi perseguiti?” è la domanda che fa il Signore al giovane Saulo di Tarso.
Entrambi seguono Gesù perché chiamati alla fede, ma lungo strade diverse. Questo vale anche per noi oggi: ognuno è chiamato in modo diverso, unico. San Pietro è colui che, essendo l’ultimo, è chiamato ad essere il primo. Ma non è un titolo di onorificenza perché il Signore dice che “Chi vuole essere il primo tra voi, sia come colui che serve”. Quindi, essere a capo della Chiesa, anche oggi, significa essere servus servorum Dei ovvero “servo dei servi di Dio”. Non è un potere universale, ma un servizio universale. Per tale motivo tutti riconoscono nel Papa una guida spirituale. Così è Pietro, chiamato ad essere al servizio di tutta la comunità. E’ andato a Roma per evangelizzare ma fugge durante la persecuzione. Lungo la strada il Signore gli rivolge una domanda? Quo vadis?, “Dove vai?”. Allora Pietro torna indietro e accetta la sua vocazione fino alla fine: il martirio.
Paolo ha un’esperienza diversa. Lui non era direttamente collegato alla prima comunità dei cristiani come Pietro, ma il Signore gli si è presentato in maniera misteriosa e sorprendente proprio mentre se ne stava andando lontano. Come se la parola di Dio lo rincorresse. E infatti, sulla via di Damasco, c’è stata questa illuminazione, che non è una vera e propria conversione perché lui era già rivolto al Signore, ma non lo conosceva ancora. Dopo tre giorni di cecità, riacquista la vista e capisce. E risponde con una sicurezza piena rispondendo alla chiamata di Gesù dicendo “L’amore di Cristo ci possiede”.
Durante la sua evangelizzazione, Paolo ha dovuto rivolgersi ai non circoncisi, perché i circoncisi l’hanno escluso. Infatti, prima si rivolgeva alle persone della sinagoga, ma gli ebrei del tempio non riuscirono ad accettare il nuovo che stava nascendo. Questa è un’esperienza che continua fino ai nostri giorni. Paolo quindi disse: “Dato che voi non accettate, mi rivolgerò ai pagani” e così inizia il carattere universale dell’evangelizzazione che non esclude nessuno. Né Pietro né Paolo infatti escludevano nessuno: entrambi portano nel cuore sia i circoncisi sia i pagani. Ma, nella realizzazione pratica del loro ministero, Pietro si è rivolto principalmente ai circoncisi, mentre Paolo ai non circoncisi. Alla fine però finiscono entrambi a Roma a evangelizzare tra i non circoncisi.
Tra Pietro e Paolo esiste una comunione profonda che talvolta assume toni di contrapposizione. Paolo nella Lettera ai Galati dice di aver avuto un coraggio straordinario quando si è opposto a Pietro riguardo alla decisione se rivolgersi ai pagani o meno. Dice: “Io ho resistito in faccia a Pietro”. Questa è una contrapposizione, ma è anche una spinta verso la verità. A volte anche nelle comunità cristiane è necessario contestare e sottolineare le differenze, ma questo non deve minare l’amore e la comunione. Dio non vuole l’uniformità, ma la comunione. E’ così bella la convivialità delle differenze.
In conclusione, Pietro è diventato il simbolo dell’istituzione e Paolo del carisma. Riportandolo al quotidiano, questo significa che noi oggi non dobbiamo avere paura né del servizio dell’istituzione né del coraggio della profezia, del carisma. In Papa Francesco vediamo la compresenza di questi due doni, quello petrino e quello paolino: l’istituzione e la profezia, che a volte entrano in contrapposizione, ma è il rischio della vita. D’altra parte, Papa Giovanni XXIII diceva che “La Chiesa non è un museo, ma un giardino”. Un giardino ha tutte le novità, le bellezze, le confusioni, è una vegetazione che cresce spontaneamente. Non è un museo, ma è vita vera.