Sfumature di grigio e di nero, come quando tutti i colori si mescolano insieme, fumo che sale dai resti delle case bombardate; pare avere fretta l’invasore di far sue queste macerie anche se davvero non ne capisco il motivo. Guardando in tv queste immagini, quello che più mi impressiona è l’enorme contrasto che emerge tra i toni cupi di desolazione e di morte ed i colori tenui della Comfort Town, un quartiere di Kiev che solo alcune settimane fa appariva in un magazine di viaggi come una delle nuove attrazioni da non perdere visitando questa bella città, segnalato proprio come un luogo dove vivere ed abitare era davvero piacevole.
Un simile contrasto di colori lo colgo pure in altre immagini che arrivano dall’Ucraina, da quello dei trolley colorati, riempiti in fretta e furia e trascinati pesantemente, a quello delle giacche variopinte dei bambini, perfino quello delle unghie laccate delle giovani mamme. Sono i colori della vita, sono codici che raccontano di come siamo, di come ci sentiamo. Sono tratti visibili di una normalità che era e che non sappiamo ancora cosa potrà diventare. E immobile, davanti a queste immagini, mi sforzo di pensare a come reagirei io, cosa sarei in grado di fare se davvero fossi lì. Penso ai miei figli.
Si perché questa insensata guerra ha il volto di ragazzi mandati a combattere contro altri giovani, utilizzando motivazioni che presto si sono rivelate senza senso e decisamente ipocrite al punto che le madri di questi ragazzi ignorano dove siano i loro figli, non li possono raggiungere con un messaggio, tantomeno sapere se sono stati malauguratamente uccisi e dove sono sepolti.
Ma ha soprattutto il volto delle donne, perché in guerra le donne rappresentano il coraggio, la resistenza, la forza, la conservazione della vita e con i loro figli la speranza di futuro. Tutti abbiamo visto la potenza del gesto di coraggio di un’anziana donna scesa a manifestare a Mosca e per questo arrestata senza pietà o della donna Ucraina che con veemenza invita il giovane soldato russo a togliersi la mascherina. E nel frattempo, sotto le bombe, nascono bambini e bambine subito costretti ad affrontare il freddo come moderni Gesù Bambino.
Mi colpisce e sono impressionata dal coraggio e dalla fierezza con cui le donne anche le più giovani dichiarano di amare la propria terra, il loro Paese, e la determinazione con cui stanno resistendo cercando in ogni modo di proteggere le città dagli attacchi e dalle bombe. Fino a quando però?
L’Otto Marzo passato da pochi giorni è stato celebrato questo anno in modo più dimesso, sicuramente a causa della guerra in corso in Ucraina, che non è l’unica purtroppo ancora in atto, e da cui ci arrivano di continuo le immagini di donne al riparo nei bunker, a piedi mentre con i loro bambini per mano camminano a fianco di lunghe code di macchine sperando in questo modo di arrivare prima al confine oppure sugli autobus in attesa di partire, accanto ad un genitore anziano o nei luoghi di distribuzione di cibo e di accoglienza, qualcuna anche nei luoghi in cui si combatte, ma del tutto assenti dai tavoli delle trattative. In tutto questo anche le numerose badanti che vivono e lavorano in Italia da molti anni sono diventate importanti punti di riferimento per chi sta scappando; come pure le famiglie che a cavallo degli anni 90 hanno aperto le loro porte ai bambini di Chernobyl e che ora li riaccolgono con i loro figli.
Tra loro c’è anche Dasha, giovane mamma di un vivace bambino che appena ti vede ti abbraccia e vuole sapere come ti chiami. A guardarla seduta al tavolo della cucina, in casa di amici, si capisce subito che il suo pensiero è altrove. È ospite qui da una settimana e chissà per quanto resterà, viene da Kiev. Ha lasciato velocemente casa e lavoro non appena ricevuta una telefonata dalla famiglia italiana, conosciuta da bambina dopo il disastro di Chernobyl che la invitava qui, per trovare, almeno per un po’, un posto più adatto dove stare. Mi mostra il documento notarile che certifica che la casa dove abitava è di sua proprietà. L’ha portato con sé perché non si sa mai cosa può succedere. Le donne non sono solo isterismi e pianti. Sono concrete e guardano al futuro, anche in questi momenti decisamente poco felici.