E’ appena trascorso il quinto anniversario dello storico incontro all’Avana tra Papa Francesco e il Patriarca di Mosca, Kirill. L’abbraccio tra il Vescovo di Roma e il Primate dell’Ortodossia russa ha cambiato la storia dell’ecumenismo. Per la prima volta un Pontefice e un Patriarca di Mosca si sono guardati negli occhi. E hanno firmato una dichiarazione congiunta. Le radici di questo passo epocale risalgono lontano nel tempo. Bisogna in modo particolare risalire al Concilio. Il Vaticano II ha segnato anche nel campo ecumenico un momento forte. Ha chiuso con un passato fatto di accuse, incomprensioni, condanne. E ha aperto al dialogo, alla riscoperta delle tante cose belle della tradizione e della fede comune. Particolarmente della fraternità. Così il Concilio ha superato un periodo fatto di accuse di peccato, di eresia e di scisma. Osservando che delle divisioni e lacerazioni nel tessuto della Chiesa, avvenute “talora per colpa di uomini di entrambe le parti” (UR, 3) non possono certamente essere accusati i cristiani dei secoli successivi.La ferita della divisione che la storia ha lasciato non può far cadere nell’oblio il ricco patrimonio spirituale comune della fede e del culto. Pur nella divisione, c’è un solidissimo fondamento comune. Una comunione, anche se imperfetta, fondata sul Battesimo e sul patrimonio di fede, che permette di riconoscersi fratelli. Una comunione destinata a crescere fino alla pienezza. La dinamica di questo mutamento è stata positiva. Ha portato a rispettarsi. Ad apprezzare le cose belle comuni, che sono molte e grandi. A ridimensionare i contrasti. A collaborare
con il servizio e riconoscimento delle ricchezze comuni della fede. A riconoscersi e a trattarsi da fratelli, nella carità. E dove c’è l’amore c’è Dio. E dove c’è Dio, è attivo il principio interiore che muove lo spirito a riconoscersi fratelli nello Spirito. E ad operare secondo il progetto di Dio che porta all’unità piena.
Ma questa opera è dello Spirito. Gli uomini sono chiamati ad operare attraverso l’amore. Tutti ciò ha significato questo storico incontro. La riscoperta dell’amore fraterno, che porta ad operare sotto la guida di Dio e sotto l’azione dello Spirito Santo. In questo evento desta una certa meraviglia che ci sia voluto tanto tempo perché potesse essere realizzato. Non è bastato neppure il Concilio. Di fatto non sono bastati neppure gli oltre cinquant’anni dai documenti conciliari. E particolarmente dal decreto “Unitatis Redintegratio”. Anzi, in questo periodo post-conciliare il cammino ecumenico non solo è stato molto lento. Ma addirittura ha avuto dei momenti di arresto. Se non di arretramento. Numerosi incontri sulla verifica dei punti comuni di fede e di quelli di contrasto non hanno portato molto lontano. Il dialogo ecumenico andava avanti all’insegna del confronto dottrinale. Presupponeva implicitamente che il mutuo riconoscimento e la collaborazione dovesse partire dall’unità fatta. Papa Francesco ha insegnato una strada nuova. La comunione si realizza nel cammino fatto insieme. La fraternità cresce camminando insieme. Il cammino fatto insieme spiana la via e allarga il cuore. La fraternità cresce allargando il cuore. Così avviene l’incontro e si approfondisce con la dilatazione del cuore.
Il colloquio tra Francesco e Kirill ha favorito e approfondito il dialogo. Nella dichiarazione comune c’è molto realismo. Si riconoscono le difficoltà. Ma c’è soprattutto molto coraggio, molta fede e molto amore. Si respira quasi una certa nostalgia dell’unità del primo millennio. Si sente la gioia della fede comune del primo millennio per la quale si rende grazie al Signore, è il tempo della Tradizione comune, per la quale si ringrazia Dio. “Rendiamo grazie a Dio per i doni ricevuti dalla venuta nel mondo del suo unico Figlio. Condividiamo la comune Tradizione spirituale del primo millennio del cristianesimo. I Testimoni di questa Tradizione sono la Santissima Madre di Dio, la Vergine Maria, e i Santi che veneriamo. Tra loro ci sono innumerevoli martiri che hanno testimoniato la loro fedeltà a Cristo e sono diventati ‘seme di cristiani’“. Tuttavia essa non è stata in grado di salvare l’unità. Nonostante tale tradizione, “cattolici e ortodossi, da quasi mille anni, sono privati della comunione nell’Eucarestia”. Si è dovuto fare i conti con “la debolezza umana e del peccato“. Non si tratta semplicemente di portare indietro l’orologio della storia. Per ritrovare l’unità per la quale Gesù ha pregato. Si tratta di rinnovare l’uomo in modo che il disegno di Dio circa l’unità possa crescere e si possa compiere. L’unità è dono di Dio, è frutto dell’amore, della santità, della vita nuova che Gesù è venuto a portare. E’ opera dello Spirito Santo, Spirito dell’amore. L’incontro va visto come momento ispiratore di passi ulteriori. “Possa il nostro incontro ispirare i cristiani di tutto il mondo a pregare il Signore con rinnovato fervore per la piena unità di tutti i suoi discepoli. E della piena comunione. È un dono di Dio che impegna ed esige la risposta dell’uomo, che è chiamato a compiere tutto il possibile da parte dell’uomo.“Nella nostra determinazione a compiere tutto ciò che è necessario per superare le divergenze storiche che abbiamo ereditato“, si legge nella dichiarazione congiunta. Intanto, c’è l’impegno a lavorare insieme per affrontare le sfide del mondo di oggi. Sono molte, gravi e urgenti. Vanno affrontate insieme. È in gioco la stessa fede cristiana che è minacciata, nel mondo di oggi. Nell’incontro tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill non si può non vedere un segno della benevolenza del Signore verso la sua Chiesa. Perché essa, rinnovata e piena di coraggio, possa compiere la sua missione di annunciare al mondo la Parola di vita eterna.