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La “rivoluzione” di Giovanni XXIII, il papa della nuova Chiesa

Il 28 ottobre 1957 Angelo Giuseppe Roncalli venne eletto Papa assumendo il nome di Giovanni XXIII. Fu una sorpresa, soprattutto per via dell’età avanzata – 77 anni –; i cardinali avevano intenzione di eleggere un Papa di “transizione” per affrontare il difficile momento che la Chiesa stava attraversando. Da una parte si era nel pieno della guerra fredda e oltrecortina la Chiesa era oggetto di persecuzioni da parte dei regimi comunisti. Basti ricordare che due cardinali non poterono partecipare al Conclave: il primate d’Ungheria Mindszenty, che, dopo anni di carcere e torture, trovò rifugio nell’ambasciata americana di Budapest, ed il croato Stepinac, tenuto in arresto dal regime di Tito. Dall’altra parte nei paesi occidentali, con il benessere seguito al dopoguerra, avanzava uno stile di vita laicista – proprio in quegli anni in via Veneto a Roma iniziava la “dolce vita”.

All’inizio fu definito il “papa contadino” per via delle sue umili origini, figlio di un mezzadro, quarto di tredici fratelli, di corporatura robusta. La famiglia gli aveva impresso una fede semplice e profonda. «Ricordo la nostra felice povertà» raccontava. Ben presto divenne il “papa buono”. Non solo per via del sorriso bonario, ma anche perché fu il primo Papa, dopo la fine dello Stato Pontificio nel 1870, ad esercitare il ministero di Vescovo di Roma andando a visitare sia le parrocchie, che gli ammalati ed i carcerati. Papa Giovanni cercava le anime, desiderava la Santità per tutti. Il suo contatto con la gente non lasciava indifferenti, si stabiliva una sorta di rapporto magnetico, un’istintiva confidenza. Vedersi chiuso nelle stanze vaticane gli costava fatica. Il giorno di Natale del 1958 andò a trovare i bambini ricoverati presso l’ospedale romano del Bambin Gesù. «Ehi Papa, io non ti posso vedere, ma tu mi vuoi bene, non è vero?» gli chiese un piccolo. Una visita che lo commosse profondamente «Talvolta siamo tutti ciechi». Il giorno successivo si recò al carcere di Regina Coeli. «Miei cari figlioli – disse il Papa – miei cari fratelli, siamo nella casa del Padre anche qui». La forza che mise nel pronunciare quell’anche impressionò i detenuti che esplosero in un urlo: “Viva il Papa”.

L’opera più grande di Giovanni XXIII fu il Concilio Vaticano II che portò la Chiesa ad un rinnovamento senza precedenti, ponendo le premesse del nuovo cammino della Chiesa nella società contemporanea e nel mondo globalizzato. Annunciato pochi mesi dopo la sua elezione, suscitò subito alcune perplessità, un’opera impegnativa per un Papa avanti nell’età. Il Concilio si aprì l’11 ottobre 1962. Quello stesso giorno, dopo le solenni celebrazioni, il Papa pronunciò il famoso “discorso alla luna”. Forse non tutti sanno che fu un discorso improvvisato, che la tv riuscì a cogliere. Alla sera in piazza San Pietro, ancora gremita di persone, si accese una fiaccolata di giovani che, scandendo il nome del Pontefice, si disposero a forma di croce intorno all’obelisco. La finestra si aprì e Giovanni XXIII si affacciò, rimanendo incantato di fronte a quell’immagine. «Cari figlioli, sento le vostre voci. – disse il Papa ai giovani – La mia è una sola, ma riassume tutte le voci del mondo; e qui di fatto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera a guardare questo spettacolo».

Una folla emozionata applaudì. E poi, rivolgendosi agli adulti, li incoraggiò: «La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore. Continuiamo dunque a volerci bene, guardandoci così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà. Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto». Poche parole, sincere, che arrivarono dritte al cuore e che trasmisero una forza spirituale ed un’umanità fuori dal comune.

Roncalli era sì umile, semplice, ma tutt’altro che sprovveduto. Era stato visitatore apostolico in Bulgaria, delegato apostolico in Turchia e in Grecia, nunzio apostolico a Parigi ed infine Patriarca di Venezia. Probabilmente è per questo che la Provvidenza ha voluto lui sul soglio pontificio nel momento in cui il mondo stava per cadere nell’olocausto nucleare.

La sera del 22 ottobre 1962 il presidente americano Kennedy pronunciò un discorso televisivo alla nazione in cui annunciò la presenza di basi missilistiche a Cuba e l’avvicinamento all’isola di navi sovietiche con a bordo le testate nucleari per l’armamento dei missili. L’Unione Sovietica stava installando a Cuba – l’isola governata da Fidel Castro – missili atomici che minacciavano gran parte del territorio degli Stati Uniti. Kennedy si oppose alle pressioni dei suoi capi di Stato maggiore – che chiedevano di bombardare e invadere Cuba – ed ordinò alla flotta americana un blocco navale volto a circondare l’isola, fermando le navi sovietiche. L’appello, drammatico e sconvolgente, prospettava l’ipotesi di un conflitto nucleare. Il mondo restò col fiato sospeso.

Fu in quel contesto che il Papa diplomatico si mosse. Nulla si sa ufficialmente della mediazione, ma di certo il Vaticano cercò un filo diretto con Mosca attraverso i politici italiani, Fanfani e Bernabei, favoriti dal fatto che in Italia fosse presente il più importante partito comunista occidentale. Il Santo Padre, dopo aver passato la notte in preghiera, il 25 ottobre rivolse un appello dai microfoni di Radio vaticana. Lo pronunciò in francese, la lingua della diplomazia.

«Noi ricordiamo i gravi doveri di coloro che hanno la responsabilità del potere. – disse Giovanni XXIII – E aggiungiamo: “Con la mano sulla coscienza, che ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: pace! pace!”. Noi rinnoviamo oggi questa solenne implorazione. Supplichiamo tutti i governanti a non restare sordi a questo grido dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace: così eviteremo al mondo gli orrori di una guerra, di cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze. Perseverino a trattare».

Dopo intense trattative Krusciov accettò di ritirare le navi in cambio della garanzia che l’America non avrebbe attaccato militarmente Cuba e della promessa segreta di ritirare i missili americani dalla Turchia. La catastrofe venne evitata solo grazie alla decisione dei due leader, John F. Kennedy e Nikita Krusciov, di fidarsi l’uno dell’altro contro il parere dei rispettivi consiglieri.

Dopo questi terribili fatti Giovanni XXIII decise di lasciare al mondo la sua eredità spirituale: la Pacem in terris. Il Papa buono era malato e già vedeva la sua nascita al cielo – sarebbe morto dopo due mesi – quando fu pubblicata la lettera l’11 aprile 1963, Giovedì Santo, giorno in cui si ricorda l’istituzione dell’Eucaristia, così come la consegna ai discepoli del comandamento dell’amore. Proprio per questo quella lettera fu indirizzata per la prima volta non solo ai cattolici, ma anche «a tutti gli uomini di buona volontà». Perché in essa si parla di valori universali, comuni a tutte le culture dell’unica famiglia umana. «Presi dall’ansia di bene per tutti, – si legge nell’enciclica – ci sentiamo in dovere di scongiurare gli uomini, soprattutto quelli che sono investiti di responsabilità pubbliche, a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un corso ragionevole ed umano».

In quel contesto essa fu ritenuta da tutti, anche dai non cristiani, come l’espressione migliore delle vie per alimentare le speranze di pace e di solidarietà di tutto il genere umano. Per tale ragione ancora oggi essa è conservata negli archivi delle Nazioni Unite a New York. Papa Roncalli fu investito da una missione straordinaria. Era umile, un mite. “Beati i miti perché possederanno la terra”. La beatitudine si è avverata in lui: mite, secondo la Bibbia, è il forte che non indietreggia di fronte a nessun ostacolo. A noi non resta che ricordare Giovanni XXII per quello che è stato: il figlio del contadino di Sotto il Monte, il diplomatico di Dio, il Papa buono ed infine un dono della Provvidenza per la Chiesa e per il mondo.

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