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I rischi umanitari del conflitto azero-armeno

Il motivo principale del conflitto in atto tra Armenia e Azerbaijan è il controllo di una piccola regione montuosa che si trova fisicamente nel territorio dell’Azerbaijan, ma della quale gli armeni sono la componente etnica maggioritaria. Si tratta di una situazione che i due Stati hanno ereditato dal loro passato sovietico, quando erano entrambi soggetti a Mosca. Il Cremlino gestiva le numerose nazionalità che componevano l’Urss in due modi: servendosi dell’apparato centralizzato del partito comunista e ove possibile istituendo all’interno delle singole Repubbliche socialiste delle enclavi da utilizzare all’occorrenza per bilanciare un’eventuale rinascita locale del sentimento nazionale.

Il problema in questo momento è la titolarità della sovranità sul Nagorno-Karabach, attribuito alla Repubblica socialista sovietica d’Azerbaijan da Stalin in modo non diverso da quello usato da Krusciov quando assegnò la Crimea all’Ucraina. Azeri ed armeni se la sono contesa dalla fine degli anni ottanta alla metà degli anni novanta. Erevan ebbe la meglio, senza però che Baku si rassegnasse a quella che considerava una mutilazione del proprio territorio. Con il tempo, i rapporti di forza sono mutati. L’Azerbaijan è diventato ricco grazie alle risorse energetiche e con i proventi della propria rendita petrolifera ha potuto potenziare le proprie forze armate, mentre l’Armenia è rimasta indietro. Si è quindi creato uno squilibrio, che ha incoraggiato le autorità azere a riprendere l’iniziativa per ribaltare gli esiti della guerra degli anni novanta. L’urto di questi giorni segue combattimenti meno pesanti occorsi nel 2016 e, più recentemente, nell’estate appena trascorsa: probabilmente una prova generale, che è servita anche a saggiare le reazioni della comunità internazionale e soprattutto quelle dei maggiori alleati dei due contendenti.

In effetti, quanto accade coinvolge anche altri paesi. I russi possiedono delle basi militari in Armenia, repubblica che è parte di un accordo di sicurezza che è una sorta di “patto di Varsavia” in miniatura, la CSTO. Si tratta di 4.500 soldati, secondo le stime più accreditate, che tuttavia finora non sono mai entrati in azione. Mosca, in effetti, ha rilevanti interessi anche in Azerbaijan, un paese di cui desidera prevenire lo scivolamento definitivo nella sfera d’influenza euro-atlantica. Inoltre, la Russia non intende inimicarsi i turchi, che invece sostengono gli azeri, un popolo affine che parla praticamente la loro stessa lingua. Baku ed Ankara condividono anche rilevanti interessi energetici, posto che è a Baku che viene riempito un importante oleodotto che arriva fino a Ceyhan, sulle coste del Mediterraneo orientale.

I turchi hanno contribuito al riarmo azero e ad una loro partecipazione diretta al conflitto sono imputati anche alcuni episodi di grande importanza, come quello che avrebbe portato all’abbattimento di un Sukhoi 25 armeno ad opera di un caccia F-16 dell’aviazione militare turca. Ankara avrebbe altresì inviato in Azerbaijan un certo numero di miliziani reduci dalla Siria, replicando un modello d’intervento piuttosto efficace già visto in Libia. Il conflitto, comunque, coinvolge anche altre potenze: Israele, ad esempio, ha venduto all’Azerbaijan molti sistemi d’arma, in particolare droni come gli Harop, che ora gli azeri starebbero usando anche in modo non convenzionale, ovvero non per monitorare il terreno di battaglia, ma dirigendoli a schiantarsi contro obiettivi armeni, incluse delle batterie anti-aeree S-300 di fabbricazione russa. In un caso, purtroppo, è stato centrato anche un bus civile, ancora non è chiaro con quali conseguenze.

Israele starebbe rifornendo Baku anche in questi giorni, come induce a ritenere il fatto che sia stato visto almeno un aereo cargo caricare nei giorni scorsi forniture militari dirette verso l’Azerbaijan. Si dice che gli israeliani vedano in Baku un potenziale alleato di cui servirsi in un eventuale scontro con l’Iran. Ma si tratta di un calcolo che potrebbe anche rivelarsi sbagliato. Non è detto infatti che i turchi, ormai molto influenti in Azerbaijan, concederebbero automaticamente margini di manovra ad Israele. Inoltre, va notato come di recente si siano svolte manifestazioni di piazza a Teheran e Tabriz per chiedere che anche l’Iran si schieri apertamente con Baku, ribaltando la sua storica preferenza per gli armeni. Gli azeri, dopotutto, sono sciiti esattamente come i persiani.

Va altresì ricordato come il cosiddetto Azerbaijan orientale sia parte integrante del territorio iraniano. E non va neppure dimenticato come sia di origini azere lo stesso l’ayatollah Khamenei, suprema guida del paese. Dal lato armeno stanno invece affluendo solo volontari curdi, sicuramente in funzione anti-turca. Ma è suggestivo che in soccorso degli armeni stiano arrivando proprio gli eredi di coloro che vennero mandati dal Sultano a massacrarli nel secolo scorso.

In questo contesto l’Europa è del tutto marginale. E’ essenzialmente un acquirente del petrolio azero – ne compra molto anche l’Italia – circostanza che limita le sue capacità d’influenza. Chiede genericamente il cessate-il-fuoco, una cosa che non si nega a nessuno, senza tuttavia indicare un criterio per uscire dalla crisi che possa essere preso in considerazione dai belligeranti. In quella zona sono invece forti russi e turchi, che hanno meno remore degli europei a far ricorso alla forza. È molto probabile che gli scontri in atto sfocino in una regolazione bilaterale degli interessi reciproci tra turchi e russi. La diplomazia del Cremlino è in azione, ma opera in un quadro vincolato: non vuole incidenti con Ankara, infatti, ma non può permettere che la garanzia di sicurezza offerta all’Armenia si riveli completamente inefficace senza che ne risenta tutto il sistema di alleanze allestito da Mosca dal Caucaso all’Asia Centrale: come realizzare la proverbiale quadratura del cerchio.

Gli azeri hanno iniziato a bombardare la capitale armena, su cui piovono missili, e premono anche sui confini tra i due paesi, malgrado Erevan si stia dimostrando disponibile a concedere l’indipendenza al Nagorno-Karabach. Sarà probabilmente su questo punto di caduta che si raggiungerà il compromesso. Come si può constatare, la Russia di Putin, che alcuni si ostinano a considerare una minaccia esistenziale per l’Occidente, attribuendole persino la capacità di orchestrare le scelte elettorali degli americani, incontra difficoltà anche a proteggere gli alleati nel cortile di casa: una circostanza che dovrebbe far riflettere.

Le implicazioni umanitarie sono quelle connesse ad ogni conflitto in cui si impieghino le armi pesanti e che coinvolga, come quello in corso, anche i civili. Le loro dimensioni dipenderanno, ovviamente, dagli esiti della prova di forza. Se a garantirne l’esistenza non interverranno la comunità internazionale e gli strumenti militari di cui dispone, quantunque popolato soprattutto da armeni, il Nagorno-Karabach potrebbe essere facilmente sopraffatto dagli azeri. Se prevalesse a quel punto la logica della pulizia etnica o se anche solo gli armeni locali ne temessero l’applicazione, non possiamo escludere l’innesco di un flusso di rifugiati, che si dirigerebbe presumibilmente verso il territorio controllato da Erevan ma forse anche oltre. Gli sviluppi degli scontri dovranno essere attentamente monitorati.

 

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