La riforma fiscale tenga conto di chi non riesce a condurre una vita dignitosa

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La Costituzione stabilisce che, il fisco, per essere giusto, deve essere progressivo. La progressività dell’imposizione fiscale, già nell’idea dei padri costituenti, garantiva a tutti di partecipare, attraverso la leva fiscale, e pagando in base a quanto posseduto. Una fiscalità amica, quindi, deve tenere conto del fatto che, ci sono condizioni e situazioni diverse nel Paese. A volte, soprattutto in questa complicata fase della storia, delle persone perdono il lavoro o, seppur lavorando, versano in condizioni di povertà. L’ultima indagine Istat, ci ha restituito l’immagine di un Paese in cui è povero chi lavora. Oggi quindi, in base a questi dati, a volte, non è più sufficiente lavorare per sfuggire dalla povertà in quanto, l’inflazione, ha eroso il potere d’acquisto e ciò fa sì che, molte persone, non riescano ad avere una vita dignitosa. La leva fiscale, da questo punto di vista, attraverso il principio di solidarietà proprio del nostro ordinamento, deve agire nella misura giusta, in virtù delle possibilità che, ogni cittadino, ha.

L’auspicio quindi è che, la riforma fiscale, non sia fatta in scaglioni che non tengono conto di chi, ad oggi, non ha maggiori possibilità di condurre una vita dignitosa. Le cifre Istat dicono che, molte famiglie, si sono impoverite fortemente mentre, quelle più ricche, lo sono per cinque volte in più rispetto a quelle meno abbienti. Ciò significa che, il divario, si sta progressivamente allargando e, l’attuale fiscalità, sta colpendo proprio coloro che vivono già in una condizione di difficoltà momentanea. I poveri assoluti in Italia, nel corso dell’ultimo decennio, sono aumenti del doppio e, ad oggi, sono quasi sei milioni, ovvero un sesto dell’intera popolazione e ciò, nella sua drammaticità, dice al legislatore che, la fiscalità, è importante per la formazione del bilancio dello Stato ma, prima ancora, costituisce un elemento di giustizia sociale. Le epoche passate, purtroppo, ci hanno consegnato un bilancio non in regola e ciò, a volte, richiede maggiore rigore ed un rientro rispetto al debito pubblico. Un fisco giusto però, ha come presupposto la contribuzione di tutti i cittadini, attraverso la leva fiscale, secondo le loro reali possibilità.

L’evasione fiscale e contributiva però, nel nostro Paese, ha dimensioni elevate e vale cento miliardi e, di conseguenza, l’ammontare di molte leggi finanziarie. Ciò ci dice che, il prelievo fiscale, non deve essere effettuato sui soliti noti, ovvero lavoratori dipendenti e pensionati ma, alla luce di questo, occorre attuare una rivoluzione fiscale. Serve un fisco equo che, con le risorse necessarie, contribuisca a un sistema di welfare più giusto, a pensioni più dignitose e ad una sanità più sviluppata. In altre parole, deve determinare uno sviluppo economico più lineare. Il bilancio dello Stato è uno strumento politico e non semplicemente contabile: bisogna far emergere seriamente chi evade e non adottare un sistema generalizzato dei condoni. Occorre mettere un punto a tutti i fenomeni di evasione ed erosione fiscale, facendo si che, il sistema di tassazione progressiva previsto dalla nostra Costituzione, sia effettivamente applicato.