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Riflessioni sulla felicità

Foto di Szilvia Basso su Unsplash

Rispolverando vecchi files, ritrovo un testo scritto da Stela, una mia ex alunna, che mi sembra adatto per iniziare una breve riflessione in occasione della “Giornata mondiale della Felicità”: «Pensare che la felicità debba caratterizzare la nostra vita solo per una piccola frazione di tempo, è una cosa molto triste. Probabilmente, quello che puntiamo a raggiungere è uno stato di tranquillità d’animo. Viviamo così tanto sopraffatti dalle problematiche della vita quotidiana – anche quelle più piccole e insignificanti – che ci sembra così improbabile da raggiungere: non ho abbastanza soldi, amici, tempo; non ho bei voti, non mi piacciono i miei capelli, non mi sento apprezzata.

E di conseguenza quand’è che ci sentiamo felici? Ogni qualvolta riusciamo a risolvere un problema! Piccolo o grande che sia, è questo che ci concede quegli attimi di gioia, ed è così che definiamo felicità “quelle piccole cose”: conoscere una persona che ci sta simpatica, un otto in Fisica, un nuovo taglio di capelli, un regalo, andare a fare shopping, un complimento o un “ti voglio bene”. Ovviamente, appena risolto un problema, ne appare subito un altro, è il principio di entropia dell’universo, il tutto è tendente al caos, non all’ordine. Nulla è portato ad andare bene per sempre o costantemente, per questo quella felicità è “un’emozione effimera”».

Nel frattempo, alla ricerca di blog interessanti, mi sono imbattuto in quello di “Berlicche” e ho trovato questo post: «Quando ci si saluta di solito si chiede “Come va?” o “Come stai?”, e uno va giù di giri di parole o di frasi di circostanza. N’accidenti se qualcuno mai ti chiede se sei felice. Forse perché normalmente non ce ne frega niente (ed è parte del problema); e perché poi si è scettici che la felicità possa esistere. Però, se a me chiedono “come stai” rispondo uhm o così così; se mi chiedessero “sei felice?” dovrei rispondere . Perché la felicità sta al “come va” nello stesso rapporto in cui il mare sta ad una pozzanghera. La prima è faccenda molto più profonda».

Il problema sta proprio sullo stile di relazione che raramente punta al profondo o all’essenziale delle cose, ma spesso resta in superficie. Così ci incontriamo e ci salutiamo, ma l’uno dell’altro sappiamo veramente poco e il sapere non riguarda qui il “cosa fai tu o cosa faccio io”. Il blogger continua così: «Di felicità ne vedo però in giro poca. Qualcuno dirà che è felice chi è ricco, chi ha i soldi; questo o quel politico, o attrice o calciatore. A giudicare dal tasso di divorzi, scandali e ricoveri in cliniche di disintossicazione, permettetemi di dubitarne. Guardateli in faccia quelli o meglio negli occhi. Qualcun altro potrà dire: è felice chi vive rettamente e fa del bene. Anche di questo dubito. C’è gente retta e giusta che sembra mangi rospi a colazione. Hanno il mal di pancia per la rabbia di non potere essere un po’ ingiusti anche loro oppure sono tristi, tristissimi e incavolati con il mondo perché il loro essere giusti non è riconosciuto, non solo, ma sono anche presi in giro per questo». La felicità non è la risata facile o l’ilarità smodata, non è la vittoria della propria squadra né una vincita alla lotteria, non è però neanche il pensare di aver trovato tutte le risposte ai propri problemi e ritenere di essere tanto nella verità che l’importante è che noi siamo felici e che magari la felicità dell’altro possa dipendere da noi. Che cos’è allora la felicità?».

Tra i vecchi files della scuola, salta fuori anche un testo illuminante scritto da Adele, un’altra mia ex alunna, se non ricordo male scritto durante la pandemia: «Non esiste cura alla tristezza e non esiste “ricerca della felicità”. Quest’ultima è semplice da percepire in realtà, siamo noi che la rendiamo complessa. Noi essere umani rendiamo tutto complesso, e più cresciamo più la felicità è, forse naturalmente, complicata; ci imponiamo così pure a scrivere saggi per renderla più complessa. Mentre ogni comune mortale si sente in dovere di spiegare la felicità con parole azzeccate e complesse, i semplici ti sorridono e non rispondono. Che senso ha cercare una risposta? Che senso ha definire i sentimenti e le sensazioni se sappiamo già che “lingua mortal non dice quello che io sentiva in seno”? La felicità è semplice, come la mia piccola cugina che ride alla parola “brizzolati” o mio zio che ha gli occhi che gli brillano per la stampa di un leone nella giacca nuova!».

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