Rispolverando vecchi files, ritrovo un testo scritto da Stela, una mia ex alunna, che mi sembra adatto per iniziare una breve riflessione in occasione della “Giornata mondiale della Felicità”: «Pensare che la felicità debba caratterizzare la nostra vita solo per una piccola frazione di tempo, è una cosa molto triste. Probabilmente, quello che puntiamo a raggiungere è uno stato di tranquillità d’animo. Viviamo così tanto sopraffatti dalle problematiche della vita quotidiana – anche quelle più piccole e insignificanti – che ci sembra così improbabile da raggiungere: non ho abbastanza soldi, amici, tempo; non ho bei voti, non mi piacciono i miei capelli, non mi sento apprezzata.
E di conseguenza quand’è che ci sentiamo felici? Ogni qualvolta riusciamo a risolvere un problema! Piccolo o grande che sia, è questo che ci concede quegli attimi di gioia, ed è così che definiamo felicità “quelle piccole cose”: conoscere una persona che ci sta simpatica, un otto in Fisica, un nuovo taglio di capelli, un regalo, andare a fare shopping, un complimento o un “ti voglio bene”. Ovviamente, appena risolto un problema, ne appare subito un altro, è il principio di entropia dell’universo, il tutto è tendente al caos, non all’ordine. Nulla è portato ad andare bene per sempre o costantemente, per questo quella felicità è “un’emozione effimera”».
Nel frattempo, alla ricerca di blog interessanti, mi sono imbattuto in quello di “Berlicche” e ho trovato questo post: «Quando ci si saluta di solito si chiede “Come va?” o “Come stai?”, e uno va giù di giri di parole o di frasi di circostanza. N’accidenti se qualcuno mai ti chiede se sei felice. Forse perché normalmente non ce ne frega niente (ed è parte del problema); e perché poi si è scettici che la felicità possa esistere. Però, se a me chiedono “come stai” rispondo uhm o così così; se mi chiedessero “sei felice?” dovrei rispondere sì. Perché la felicità sta al “come va” nello stesso rapporto in cui il mare sta ad una pozzanghera. La prima è faccenda molto più profonda».
Il problema sta proprio sullo stile di relazione che raramente punta al profondo o all’essenziale delle cose, ma spesso resta in superficie. Così ci incontriamo e ci salutiamo, ma l’uno dell’altro sappiamo veramente poco e il sapere non riguarda qui il “cosa fai tu o cosa faccio io”. Il blogger continua così: «Di felicità ne vedo però in giro poca. Qualcuno dirà che è felice chi è ricco, chi ha i soldi; questo o quel politico, o attrice o calciatore. A giudicare dal tasso di divorzi, scandali e ricoveri in cliniche di disintossicazione, permettetemi di dubitarne. Guardateli in faccia quelli o meglio negli occhi. Qualcun altro potrà dire: è felice chi vive rettamente e fa del bene. Anche di questo dubito. C’è gente retta e giusta che sembra mangi rospi a colazione. Hanno il mal di pancia per la rabbia di non potere essere un po’ ingiusti anche loro oppure sono tristi, tristissimi e incavolati con il mondo perché il loro essere giusti non è riconosciuto, non solo, ma sono anche presi in giro per questo». La felicità non è la risata facile o l’ilarità smodata, non è la vittoria della propria squadra né una vincita alla lotteria, non è però neanche il pensare di aver trovato tutte le risposte ai propri problemi e ritenere di essere tanto nella verità che l’importante è che noi siamo felici e che magari la felicità dell’altro possa dipendere da noi. Che cos’è allora la felicità?».
Tra i vecchi files della scuola, salta fuori anche un testo illuminante scritto da Adele, un’altra mia ex alunna, se non ricordo male scritto durante la pandemia: «Non esiste cura alla tristezza e non esiste “ricerca della felicità”. Quest’ultima è semplice da percepire in realtà, siamo noi che la rendiamo complessa. Noi essere umani rendiamo tutto complesso, e più cresciamo più la felicità è, forse naturalmente, complicata; ci imponiamo così pure a scrivere saggi per renderla più complessa. Mentre ogni comune mortale si sente in dovere di spiegare la felicità con parole azzeccate e complesse, i semplici ti sorridono e non rispondono. Che senso ha cercare una risposta? Che senso ha definire i sentimenti e le sensazioni se sappiamo già che “lingua mortal non dice quello che io sentiva in seno”? La felicità è semplice, come la mia piccola cugina che ride alla parola “brizzolati” o mio zio che ha gli occhi che gli brillano per la stampa di un leone nella giacca nuova!».