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Ridurre il peso fiscale sui salari: questione di giustizia sociale

Qualcosa si muove per i lavoratori dipendenti che da tempo aspettano soluzioni per ridurre il peso del fisco sul salario. Già Mario Draghi aveva tagliato l’anno scorso alcuni punti del cuneo fiscale, ed ecco che anche l’attuale governo continua l’opera iniziata. Ed infatti non accadeva da tempo che ci fosse la necessaria concretezza e determinazione. Questo tema, all’interno del decreto lavoro del dl 48/2023, ha già ottenuto il via libera dal Senato, e già si annuncia l’approvazione anche alla Camera dei Deputati. Si dà dunque una direzione ancora più decisa alla riduzione delle tasse sul lavoro già partita con la legge di Bilancio e che prende ancora più forma con gli interventi governativi proposti. I cittadini tutti si aspettano un cambiamento vigoroso che riduca pesi fiscali nazionali e locali ingiustificabili. Ma conoscendo le ristrettezze delle disponibilità finanziarie pubbliche, è un bene che si continui a privilegiare i salari italiani agli ultimi posti della graduatoria delle nazioni dei paesi industrializzati. Si fa in tale modo giustizia sociale, e si provvede a sostenere i consumi interni che come si sa penano dal lungo tempo. Va sottolineato che questa buona decisione, è qualificata dalla scelta di segnare un percorso virtuoso di incentivazione della produttività.

Negli anni, le politiche governative hanno sempre trascurato questo aspetto basico delle buone pratiche, quelle di premiare il merito e l’impegno comunque orientato a produrre di più e meglio, incastrati come siamo nella idea che ci ha spinto finora a voler essere tutti uguali, ma nel basso. Si è così nel tempo favorita una sub cultura del lavoro che ha ritenuto sbagliato produrre di più con gli straordinari meglio pagati, anche in controtendenza con la necessità di assecondare lo smaltimento rapido delle commesse a scapito della loro perdita a favore dei concorrenti internazionali; di incrementare i salari e redistribuzione degli utili raggiungendo migliore produttività. La contrattazione è stata così imprigionata progressivamente da questo modo di pensare, che ha congiurato, insieme all’inarrestabile tassazione di ogni genere la depressione salariale che da tempo colpisce in particolare il lavoro italiano.

Ed allora nel provvedimento si aumentano decontribuzioni e sconti fiscali sui premi di produttività, così come sulle tredicesime e straordinari, si alzino le soglie sui fringe benefit, detassazioni sul lavoro notturno e festivo nel turismo. Questo cambiamento annunciato, dovrà essere sostenuto dal carattere strutturale che si spera tutto il parlamento invochi anche per alimentare un clima di fiducia verso il cambiamento necessario nel lavoro italiano in modo tale da produrre migliori sforzi delle parti sociali sia nelle loro attività contrattuali che nella loro capacità di stimolo verso la politica sulle necessità delle produzioni e servizi. Questa svolta potrà giovare per superare lo strabismo generale che notiamo sulle questioni del lavoro. Da una parte una discussione senza fine sul cosiddetto salario minimo che si poteva e si potrebbe risolvere con provvedimenti amministrativi veloci per una porzione piccola del mondo del lavoro ma colpita gravemente da salari di fame, è una insufficiente considerazione e mobilitazione sui salari bassi di decine di milioni di italiani ridotti ad avere immutato lo stesso salario nominale nell’ultimo ventennio.

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