Nella nostra vita quotidiana ogni volta che si ferisce la dignità del lavoratore, la garanzia della sua incolumità, la perdita dello stesso posto di lavoro, per ciascuno di noi è istintivo invocare il primo articolo della nostra Costituzione, come a dire che c’è sfasatura tra le solenni affermazioni e la realtà: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.
Ci fu una lunga discussione tra i costituenti sulla importanza di assegnare nella Costituzione al lavoro un valore costitutivo per la Repubblica: al lavoro nel senso di energia collettiva prodotta dall’impegno e dall’ingegno di lavoratori ed imprenditori in grado di assicurare redistribuzione della ricchezza in parte equa, secondo impegno, rischio, responsabilità. Ci furono opposizioni a questa ipotesi, ma prevalse grazie a coloro che si ispiravano alla dottrina sociale della Chiesa ed a ‘laici’ legati alla cultura dell’umanesimo.
Insomma la Repubblica deve fondarsi sul lavoro in quanto base essenziale per garantire benessere economico e sociale, ma anche come ancoraggio morale e fondamento di responsabilità: attraverso il lavoro le persone si realizzano personalmente nella relazione con gli altri che vi partecipano, così creando vincoli di responsabilità che ricadono positivamente sulla comunità e sulla personale esperienza di maturità.
In questi giorni si parla molto delle nuove occasioni di lavoro che potremo generare grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, e giustamente si sottolinea che da questo piano può originare la ripresa economica italiana, come per i giovani occasioni qualificate di impegno lavorativo, di accelerazione verso la modernità.
Infatti l’impiego di ben circa 200 miliardi di Euro per gli obiettivi della transizione energetica, adeguamento alla cultura ed operatività digitale, infrastrutturazione trasportistica, e sviluppo dei presidi della prevenzione di sanità, possono ben corrispondere agli obiettivi indicati e tanto necessari al Paese. Ma per ottenere questo risultato, non solo occorre accompagnare al “Piano” le riforme della pubblica amministrazione, della giustizia civile ed amministrativa, del fisco e del lavoro, senza le quali si rischia di insabbiare gli ingranaggi della operazione, ma bisogna anche riportare le ruote del treno nei binari dello spirito che animò i Costituenti nel fondare la Repubblica sul lavoro.
Non credo che possano coesistere nello stesso paese, e senza conseguenze, un piano per impegnare giovani per avviarci verso una economia virtuosa e moderna, permanendo politiche assistenziali senza finalità che riconducono all’impegno lavorativo, premiando l’opportunismo. Non è soltanto lo spreco di decine di miliardi finora utilizzati che potevano essere impiegati in attività economiche remunerative o in attività di riqualificazione professionale tanto essenziali per rimuovere la condizione mortificante della coesistenza di tanti disoccupati e nel contempo di richieste di professionalità non rintracciabili nel mercato del lavoro; ma riguarda anche la necessità di percezione di un clima culturale orientato alla responsabilità ed alla ricerca della efficienza.
I momenti di svolta lo sono davvero, quando nella realtà sociale ogni aspetto è coerente con ogni altro aspetto che concorre a centrare l’obiettivo. L’altra sera, partecipando ad un seminario sul lavoro e le occasioni di sviluppo, confesso di essere stato molto a disagio nell’aver ascoltato le conclusioni, che sostanzialmente si è sviluppato nel seguente modo: i sussidi salariali sono un risarcimento dovuto alla riduzione del lavoro per l’avanzamento delle tecnologie. Credo che si dovrebbe sostenere che i sussidi pubblici che costano ai contribuenti, dovrebbero essere condizionati al reindirizzamento professionale per accelerare la transizione tra i vecchi lavori ai nuovi, con grande beneficio per la Comunità.
I principi costituzionali si fanno vivere non di “ritirate” culturali risarcitorie, ma di pretesa continua e rigorosa della valorizzazione dei talenti posseduti e da sviluppare dei lavoratori. Anche la annosa vicenda della sacrosanta necessità di limitare i licenziamenti in questa epoca di pandemia, se non accompagnata da una robusta attività di riqualificazione in un epoca di grandi cambiamenti d’impiego di nuove tecnologie e di richieste di nuove professionalità potrà solo esporci a ritardi insostenibili per la stabilità dei posti di lavoro.