Il maligno non si rassegna mai, tantomeno quando viene compiuto un gesto simbolicamente fondamentale e senza precedenti. Mentre a Fabriano, al termine della presentazione del mio libro “Donne crocifisse”, il Sottosegretario all’Interno, Carlo Sibilia faceva con coraggio e convinzione “mea culpa“, a nome dell’intera classe dirigente del Paese, per l’abominio della tratta a scopo di prostituzione coatta, ad alcune centinaia di chilometri, il governatore della Lombardia ricadeva nell’antica e diabolica tentazione di auspicare la legalizzazione di questa indegna forma di schiavitù.
Non ho fatto in tempo a gioire interiormente per la novità assoluta di un governante di un Paese occidentale che chiede perdono alle più indifese e fragili delle creature, che già il mio cuore si riempiva di amarezza e sconcerto per l’ennesimo tentativo di giustificare la vergogna più antica del mondo. Eppure è passata soltanto una manciata di mesi dal grido inequivocabile e universale del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “mai più schiave”, lanciato al Quirinale, la casa degli italiani trasformata in luogo di riscatto per la Giornata della Donna consacrata nell’occasione alle vittime della tratta.
Nelle stesse ore, da un lato il Sottosegretario Sibilia, in sala gremita di autorità civili, militari, religiose e di tante persone raccolte in silenziosa meditazione, ha pubblicamente segnato il limite umano e culturale da non calpestare mai più: “La dignità della persona è sacra, non si comprano un corpo e un’anima, se tutto ha un prezzo, nulla ha più valore”. Insomma, aria sana, fresca, rigenerante, talmente inedita che proprio per questo non avrà forse la ribalta mediatica che merita. Molto più facile e scontato appellarsi alle “necessità fisiologiche” dei maschi, come ha fatto Attilio Fontana, per cantare la stucchevole e nauseante filastrocca dei bordelli da riaprire, magari anche per raccattare qualche “marchetta” sotto forma di imposizione fiscale. E cioè dallo Stato pappone delle vecchie case chiuse passiamo alla Regione pappona dei moderni ghetti dell’eros.
Sarà pure una strategia di marketing elettorale, però nella terra di San Carlo Borromeo e del radicato cattolicesimo manzoniano, si rivelerà un boomerang micidiale aggrapparsi alle pulsioni peggiori invece di favorire e aggregare le energie vitali di una società che è leader in Italia nell’impegno etico e solidale.
Tre anni fa Papa Francesco venne a visitare una nostra casa rifugio per le vittime della prostituzione coatta e sentì il bisogno di chiedere perdono per tutti i sedicenti cristiani che avevano violato la dignità di quelle che don Oreste Benzi chiamava le “nostre sorelline” e che un direttore tanto celebrato nei media, ripetutamente sprezzante nei confronti della dignità umana, bolla scandalosamente come “puttane”.
Il libro “Donne crocifisse” si conclude con un mio sogno: la richiesta di perdono da parte dei governanti. Ora quel sogno inizia a realizzarsi, però il diavolo sparge buche sul percorso del collettivo riscatto morale dell’Italia. Certo, non possiamo dire di ritenerci soddisfatti. Però adesso sappiamo cosa ribattere quando qualcuno dirà che solo un’autorità religiosa può chiedere perdono per la mancata osservanza di norme etiche e non certo un governante alle prese con l’amministrazione di questioni concrete. Nulla di più falso!
Il “mea culpa” del Sottosegretario Sibilia dimostra che non si tratta di un tema semplicemente di ordine pubblico, bensì di un crimine contro l’umanità. Se ne ricordino gli spacciatori di menzogne, notoriamente di corto respiro. Rivolgo perciò il mio accorato appello a tutti i politici affinché scelgano di stare dalla parte di chi chiede perdono, piuttosto che schierarsi con chi vuole continuare a umiliare la dignità delle donne crocifisse.