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Referendum pro-eutanasia: l’offensiva contro il sacro valore della vita umana

L’offensiva giudiziaria contro il valore sacro della vita umana sembra spianare la strada al referendum teso ad introdurre in Italia l’eutanasia attiva e il suicidio assistito. La scorsa settimana si sono concatenati due episodi che potrebbero cambiare l’ordinamento italiano, che si è sempre evoluto in un contesto di ‘favor vitae’ e di indisponibilità del bene superiore della vita.

Mercoledì 16 il Tribunale di Ancona, applicando i principi della sentenza Cappato della Corte Costituzionale, ha riconosciuto per la prima volta il diritto al suicidio assistito ad un uomo tetraplegico da dieci anni a seguito di un incedente stradale. L’azienda sanitaria è stata chiamata a verificare le condizioni del paziente per l’accesso all’eutanasia attiva. In precedenza l’uomo si era visto negare dall’azienda sanitaria (anche per la verifica delle sue condizioni) e dal giudice l’istanza di suicidio assisto.  In pratica ora il tribunale di Ancona ordina all’Azienda sanitaria unica regionale delle Marche “di provvedere, previa acquisizione del relativo parere del Comitato etico territorialmente competente, ad accertare: se il reclamante sia persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili” e “se lo stesso sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

In altre parole, il tribunale marchigiano chiede di verificare le quattro condizioni indicate dalla Consulta, nella sentenza del 2019 sul caso Cappato-dj Fabo, in base alla quale è consentito derogare agli articoli del codice penale che puniscono l’aiuto al suicidio.

Ovviamente al momento in Italia non esistono né le strutture né medici disposti a dare una morte diretta a un paziente nel pieno delle sue capacità cognitive, con condizioni di salute stabilizzate da anni e che, è giusto sottolinearlo, non è in una fase terminale della vita, per quanto affetto da gravi forme di disabilità. Vale la pena ricordare poi che nel caso di Eluana Englaro si è trattato di un’eutanasia passiva, causata dall’interruzione delle cure su una persona in stato vegetativo irreversibile. Così come bisogna tenere presente che la legge sul testamento biologico del 2017 prevede già la possibilità di rifiuto di sostegni vitali, quali alimentazione e idratazione, ma non l’eutanasia attiva tramite farmici che causano la morte.

Si sta quindi spingendo per un ulteriore passo verso una legislazione mortifera che superi completamente il principio dell’”indisponibilità della vita” e porti la persona alla più completa autodeterminazione, una prospettiva che in tutte le società in cui è diventata realtà ha fatto rima solo con l’orizzonte della disperazione e della solitudine.

Fatto sta che il giorno seguente il pronunciamento del tribunale di Ancona, giovedì 17 iugno, l’Associazione Luca Coscioni ha lanciato la raccolta firme per il referendum sull’Eutanasia Legale. Per arrivare allo svolgimento della consultazione referendaria sarà necessario raccogliere 500.000 firme entro il 30 settembre. Il testo prevede l’abrogazione dell’art. 579 del codice penale (omicidio del consenziente), che attualmente punisce, con una reclusione da sei a quindici anni, “chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui”. L’articolo in questione impedisce la realizzazione di ciò che comunemente si intende per ‘eutanasia attiva’ sul modello olandese o belga, Paesi dove qualsiasi cittadino che versa in uno stato di forte malessere fisico o mentale, anche se non in condizioni degenerative o terminali, può chiedere il suicidio assistito.

Se il referendum dovesse passare si andrebbe ben oltre l’attuazione della sentenza Cappato, lo Stato dovrebbe organizzare vere e proprie cliniche della morte e numerose commissioni mediche per vagliare migliaia di richieste di accesso alla pratica. L’esperienza di Paesi come l’Olanda, il Belgio, il Canada e degli Stati americani dove è stata legalizzata l’eutanasia, dimostrano che la legalizzazione del suicidio assistito provoca una vera e propria epidemia culturale mortifera, con un aumento vertiginoso, nel giro di pochi anni, delle persone che chiedono la “dolce morte” di Stato.

Per non parlare delle derive legislative osservabili nei Paesi in cui è stato sancito “il diritto alla morte”: adesso nel parlamento belga si vuole persino discutere una legge per consentire il suicidio di anziani che ritengono di aver vissuto troppo a lungo. Non meno gravi sono invece i rischi di abbandono terapeutico per le persone con gravi patologie. Si è osservato infatti che le persone malate, spinte anche dalle inefficienze dei sistemi sanitari e da problemi economici, spesso abbracciano l’idea del suicidio come uscita di emergenza per non gravare sui familiari.

A conti fatti stiamo descrivendo quella società dello scarto da sempre denunciata nel magistero di Papa Francesco. La solitudine e il malessere delle persone è stato accentuato da una pandemia che invece avrebbe dovuto incentivare la riscoperta del valore della vita e dell’interdipendenza tra le persone. “Nessuno ne esce da solo” abbiamo ripetuto mille volte mentre ora si vuole indicare l’uscita che porta un baratro privo di speranza.

Lo scorso settembre la Congregazione per la Dottrina della fede ha riaffermato con forza che “inguaribile non è mai sinonimo di incurabile” e che, di conseguenza, chi è affetto da una malattia allo stadio terminale come chi nasce con una previsione limitata di sopravvivenza ha diritto ad essere accolto, curato, circondato di affetto. Di fronte a l’ipotesi di questo referendum possiamo quindi percorrere la strada già tracciata da altre nazioni, che ci assicura un cocktail di farmaci mortali quando saremo vecchi e stanchi, oppure possiamo impegnarci ad essere persone e non individui, capaci di andare oltre ogni concetto utilitaristico della vita.

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