La crisi della democrazia va affrontata seriamente, prendendo – per così dire – il toro per le corna. E soprattutto, intervenendo su quel punto nodale che è il rapporto tra democrazia e libertà, perché è impossibile che la prima possa sussistere senza la presenza di persone libere. Se non si riconnette la democrazia alla persona concreta, alla libertà, come suo punto di partenza e di arrivo, permane il rischio di implosione. Si protrae nel tempo una sensazione di spaesamento, di abitare in un edificio ancora in piedi – non si sa fino a quando – ma sempre sul punto di crollare, senza vedere all’opera energie in grado di restaurarlo o di ricostruirlo.
Non a caso, la cultura cristiana e, in particolare, la Dottrina sociale della Chiesa (=DSC) si è attivata per tempo, per dare ad essa, come fondamento stabile, coscienze capaci di ricercare il vero, il bene e Dio. Occorre considerare, sia pure in maniera sintetica, come la DSC è venuta incontro alla fragilità antropologica ed etica congenita della democrazia, quale è emersa dalla cultura moderna e si protrae, in varie forme, nel nostro oggi. In proposito, non è da dimenticare che la Chiesa, allorché si cominciò a parlare di libertà e di democrazia, si mostrò contraria, perché la prima veniva fondata su una coscienza delirante e la seconda, su un giusnaturalismo immanentista, su una sovranità popolare assoluta, come unica fonte dei diritti e dei doveri dei cittadini. Già, però, con Leone XIII, se il nuovo diritto non poteva essere approvato e avvallato in toto, a causa della sua base razionalistica e naturalistica, si riconosce ciò che di sano esso conteneva.
Il pontefice, nell’enciclica Libertas praestantissimum del 20 giugno 1888, a fronte di uno Stato liberale, che intendeva strutturarsi come Stato di diritto, fondato unicamente sulla volontà generale e su una concezione egalitaria della libertà, assolutizzata ed intesa individualisticamente, propone un concetto di libertà connesso intrinsecamente con la verità, con il bene e con Dio. È così che Leone XIII si porta al cuore del problema che attanagliava la cultura del suo tempo. Egli riprende il discorso partendo da dove erano stati recisi dal razionalismo naturalista e individualista, i legami fra pensiero e retta ragione, fra coscienza e bene, fra libertà e verità morale, fra etica e politica. Dal riannodare le libertà delle persone con la verità e con il bene, dall’informare le legislazioni umane, gli atti di comando da una parte e gli atti di obbedienza dall’altra ‒ per quanto possibile ‒, con i contenuti della legge morale naturale, per il pontefice dipendeva il futuro dell’uomo, della società civile e degli Stati.
La concezione di una libertà disancorata dal riferimento a Dio e ai valori assoluti ha la consistenza delle sabbie mobili, su cui non si può fondare alcuna salda morale né si può costruire una prospera e pacifica convivenza civile. L’esagerata esaltazione della libertà, patrocinata dall’agnosticismo liberale, apre le porte in campo personale al soggettivismo e all’individualismo etico e, in campo sociale, all’assolutismo del potere e all’anarchismo. Nel denunciare i pericoli di una libertà sradicata dalla verità sull’uomo e su Dio, Leone XIII si mostrò profeta. Egli intuì e predisse i mali delle rivoluzioni, e i regimi autoritari e totalitari, che non molti anni dopo si abbatteranno sull’Europa. Gli eventi della storia successiva a Leone XIII confermeranno la validità del suo insegnamento, non solo in ordine all’ascesa della civiltà, ma anche in ordine ad una corretta antropologia della libertà da porre a fondamento di ogni democrazia.
Non a caso Giovanni Paolo II, più di cento anni dopo, affrontando la questione sociale, movendo da una prospettiva culturale più personalista, richiama il valore perenne delle affermazioni centrali della Libertas praestantissimum. Per rifondare le democrazie contemporanee e per superare la cultura consumistica, occorre disporre di una libertà capace di legarsi alla verità su Dio e sull’uomo.
Radicando la democrazia in un impianto di antropologia personalista e comunitaria, la DSC supera così la tradizione liberale, che molto aveva insistito sui temi dello Stato a servizio dei singoli, dell’uguaglianza e della libertà individuale, quest’ultima intesa soprattutto come libertà da, ossia libertà negativa. Questo concetto venne superato, rifiutando sia la concezione anarchica sia la concezione individualistica di libertà, che all’atto pratico fu la concezione preferita ed enfatizzata dalla maggioranza delle correnti appartenenti alla stessa tradizione liberale. Il popolo e la democrazia, di cui parla la DSC, sono entità che sprigionano da libertà responsabili, solidali: libertà nell’ordine morale e, pertanto, libertà che non contraddicono l’uguaglianza di dignità e di opportunità, la fraternità, il bene comune, la giustizia sociale. Anzi, perseguono questi valori e sono ad essi correlati.