Recentemente papa Francesco, durante l’udienza al personale dell’Inail, ha affermato che quando il lavoro si degrada si impoveriscono democrazia e società. Vi sono comunità che, pur riconoscendo il diritto primario alla vita, hanno praticamente liberalizzato l’aborto e alcuni gruppi ne vorrebbero anche sancire il «diritto». Non solo. Vi sono ordinamenti giuridici e amministrazioni della giustizia che consentono la discriminazione di chi fa la obiezione di coscienza nei confronti dell’aborto, della guerra e dell’eutanasia. Parimenti, mentre nelle Costituzioni è omologato il diritto alla libertà religiosa, crescono i pregiudizi e la violenza nei confronti dei cristiani e dei membri di altre religioni in tutta l’area dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). In tale area si è praticamente disegnata una linea divisoria netta tra credenza religiosa e pratica religiosa, sicché spesso ai cristiani viene ricordato, nel pubblico dibattito e sempre più di frequente anche nei tribunali, che possono credere tutto ciò che vogliono nelle loro case e nelle loro teste e che possono rendere culto come desiderano nelle loro chiese private, ma che semplicemente non possono agire in base a queste credenze in pubblico. Si tratta di una distorsione deliberata e di una limitazione del vero significato della libertà di religione. Esse non corrispondono alla libertà prevista nei documenti internazionali, compresi quelli dell’OSCE. Sono molti gli ambiti in cui emerge in modo evidente l’intolleranza.
Negli ultimi anni si è manifestato un aumento significativo di episodi in cui dei cristiani sono stati arrestati e persino perseguitati per essersi espressi su questioni cristiane. Alcuni leader religiosi sono stati minacciati con l’intervento della polizia dopo aver predicato sul comportamento immorale, e alcuni sono stati addirittura condannati al carcere per aver predicato gli insegnamenti biblici relativi all’immoralità sessuale. Perfino le conversazioni private tra cittadini, compresa l’espressione di opinioni nelle reti sociali, in molti paesi europei possono diventare motivo di denuncia penale o perlomeno di intolleranza. Inoltre, si sono verificati numerosi casi di cristiani allontanati dal luogo di lavoro solo perché hanno cercato di agire secondo la propria coscienza. Alcuni di essi sono ben noti, poiché sono apparsi anche dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
L’intolleranza nel nome della «tolleranza» dev’essere chiamata con il suo vero nome e condannata pubblicamente. Negare ad un argomento morale, basato sulla religione, un posto nella pubblica piazza è un atto antidemocratico. La questione della libertà religiosa, peraltro, non può e non deve essere incorporata in quella della tolleranza. Di fatto se fosse questo il valore umano e civile supremo, allora qualsiasi convinzione autenticamente veritiera che ne escluda un’altra equivarrebbe all’intolleranza. Inoltre, se una convinzione valesse l’altra, si potrebbe finire con l’essere compiacenti anche verso le aberrazioni.
Mentre è sensibilmente diminuita la capacità di fissare le priorità dell’economia e di incidere sui dinamismi finanziari internazionali (cf CIV n. 24), nonché su altre questioni vitali e globali – tra cui le pandemie, l’accesso all’acqua potabile per tutti, l’equa distribuzione delle risorse energetiche, la transizione ecologica, la sicurezza alimentare, il controllo del fenomeno di migrazioni bibliche, della sicurezza, delle diseguaglianze –, appare, invece, aumentata la sua decisionalità e la sua discrezionalità nei confronti dei diritti delle persone, dei corpi intermedi e delle comunità primarie, come le famiglie e le Chiese. Sembra pertanto che, alla carenza di potestà decisionale in ambito economico-finanziario ed ambientale, da parte dello Stato corrisponda, in ambito etico-religioso, una più puntigliosa volontà di dominio che, facendosi scudo del principio democratico della maggioranza, legifera anche contro i diritti soggettivi delle persone e delle comunità, quali il diritto alla vita, alla libertà religiosa, alla salvaguardia dell’ambiente e alla pace. Lo Stato, troppo spesso, appare debole coi forti, ma prepotente con coloro che non lo possono ricattare con il denaro o con la violenza. E così, le ragioni della politica non sempre sono le ragioni del bene comune, non sempre salvaguardano i più poveri e indifesi, i diritti dell’uomo.