Parlando alcuni giorni fa ad un gruppo di cattolici socialmente impegnati ho ricordato la lezione del patrono d’Europa, San Benedetto Abate, che tra le macerie materiali e spirituali pose il desiderio di Dio alla base della ricostruzione di una civiltà in disfacimento. A partire dalla vita interiore per riconoscere la mano della Provvidenza nei piccoli segni. Così al giovane aspirante seguace che al freddo bussava insistentemente per accedere alla sua comunità monastica, San Benedetto impose bonariamente di continuare l’attesa davanti al portone. E ai suoi confratelli che volevano farlo entrare, l’Abate obiettò: “Aspettate ad aprire, vediamo se davvero cerca Dio”. E invece in ogni tempo dilaga strisciantemente la deleteria attitudine a restare aggrappati al proprio “particulare”, ignorante che solo sganciandosi da se stessi si può fare la volontà di Dio.
Niente di nuovo sotto il sole. I primi a separare sono coloro che per missione, ruolo e “vocazione” dovrebbero unire invece di tirare l’acqua al proprio mulino. C’è una tentazione, antica ma sempre incombente, che attraversa da oltre 2000 anni il cristianesimo: etichettare i seguaci di Gesù dividendoli in fazioni. Lo ricordiamo, infatti, nelle Sacre Scritture, nelle vite dei Santi e, neanche a dirlo, nelle cronache della Chiesa attraverso le varie epoche. Due soli accenni. Già ai tempi della predicazione di Cristo gli apostoli litigavano per stabilire chi dovesse sedere alla Sua destra e alla Sua sinistra. E, pochi anni dopo, San Paolo stigmatizzava l’originaria comunità dei fedeli dilaniata dall’ossessione di catalogarsi in “partiti”: “Io sto con Pietro”, “Io sto con Paolo”, “Io sto con Cefa”, come se il Signore potesse essere tirato da una parte o dall’altra a seconda delle convenienze “politiche” del momento.
Una turpe deformazione che, millenni dopo, contamina l’opinione pubblica ormai assuefatta alle “visioni” di un mondo cattolico raffigurato fantasiosamente dai mass media come perennemente spaccato: tra destra e sinistra, conservatori e progressisti, sovranisti-populisti e difensori dello status quo, europeisti e nazionalisti. E così capita sempre più spesso, anche a noi sacerdoti e associazioni, di trovarci nostro malgrado schierati, schedati, marchiati. Attrazioni da circo, all’interno di un immaginario emiciclo “politicistico” nel quale in realtà non siamo mai entrati. Generalizzare, dicendo che la Chiesa fa politica (in senso deteriore) equivale a negare l’essenza del Vangelo. Gesù insegna a separare Cesare da Dio e, come diceva San Paolo VI, ha fatto della politica la più “alta forma di carità”. Stamattina una giornalista mi ha chiesto in quale casella potermi collocare nell’ambito della dottrina sociale della Chiesa, della politica italiana ed europea, di fantomatiche cordate di potere ecclesiastico. Mancava solo la Spectre di 007. Ho risposto con le parole del mio fondatore don Oreste Benzi: “Io sto solo dalla parte del Vangelo”. Le emergenze, i valori, le esigenze spirituali e materiali non hanno la tessera di partito. Un bambino che rischia di non nascere, un disabile emarginato dalla società, un giovane che non trova la sua strada nella vita, un anziano abbandonato nel degrado dalla sua stessa famiglia, una donna crocifissa venduta come merce, un disperato in cerca di un’esistenza accettabile e dignitosa non implicano astratte dichiarazioni di appartenenza ma adesione a temi che devono unire “tutti gli uomini e le donne di buona volontà”.
E’ questione di sensibilità, di coscienza umana. Perché in terra ci sia pace, devono esserci: concordia tra credenti, condivisione con il prossimo e superamento degli egoismi. Don Sturzo insegnava ad essere cristiani anche in tempo di elezioni. Gli insetti si catalogano non i seguaci di Cristo. Siamo tutti in pellegrinaggio verso l’Alto. Contrapporci su questa terra è ridicolo e pericoloso perché fa il gioco del divisore per antonomasia. E il diavolo ride dei nostri contorcimenti mentali. I nostri nonni ci ripetevano che il male non si augura neppure al peggior nemico. Dirsi credenti e poi odiare il “nemico” al punto da volerne la rovina contraddice la stessa radice cristiana di cui a torto ci si ritiene paladini. Qualcuno ha completamente rimosso la Verità: “Dio non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva”.