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Questa nostra Europa: un bastione mondiale di pace e collaborazione

Il 9 maggio 1950 Robert Schuman, allora ministro degli esteri francese, annunciò che la Francia proponeva una prima soluzione concreta al secolare conflitto fra Francia e Germania, che tante guerre aveva generato. Prima di illustrare i termini di tale proposta, vediamo chi era Robert Schuman. Nato nel 1886 da un cittadino francese-lorenese che nel 1871 era diventato tedesco con il passaggio di Alsazia e Lorena alla Germania dopo la vittoria tedesca della guerra del 1871, poi diventato cittadino francese nel 1918, con la vittoria della Francia sulla Germania nella I guerra mondiale e il ritorno dell’Alsazia e Lorena alla Francia, arrestato e imprigionato dalla Gestapo durante l’occupazione tedesca della Francia nella II guerra mondiale perché era andato in soccorso dei suoi concittadini lorenesi perseguitati da tedeschi, Schuman aveva infine imboccato una carriera politica di spicco nella Francia liberata dopo la fine della II guerra mondiale e aveva deciso di dedicare tutta la sua attività a trovare i modi per superare l’odio storico tra francesi e tedeschi.

Nell’ambito del Piano Marshall (1948-1952), che contribuì fortemente alla ricostruzione europea, la presenza americana insisteva per passi concreti verso un’integrazione europea, ma non si trovava né il percorso da seguire né chi si assumesse il compito di fare una prima proposta. Dopo quanto ricordato sopra, non ci meravigliamo che fu proprio Schuman a prendere l’iniziativa, appoggiato da statisti di vari paesi, ma non dalla Gran Bretagna. Ascoltiamo la proposta di Schuman da alcune delle sue proprie parole pronunciate il 9 maggio 1950 (in mia traduzione):

Un’Europa unita non può essere costruita in un sol colpo o seguendo un piano predeterminato. Si costruirà attraverso passi concreti volti a generare una solidarietà nei fatti … partendo dalla eliminazione del conflitto fra Francia e Germania… Per questo motivo il governo francese propone di mettere la produzione franco-tedesca di carbone e acciaio sotto l’egida di un’agenzia comune, aperta alla partecipazione di altri paesi europei. Questa gestione comune del carbone e dell’acciaio aiuterà la creazione di fondamenta comuni di uno sviluppo economico come primo passo verso una Federazione europea e cambierà il destino di quelle aree europee da troppi anni destinate a produrre materiale bellico di cui sono state le prime vittime“.

Dunque il 9 maggio 1950 venne annunciata la CECA, il primo organismo comune nato in Europa, che entrò in funzione nel 1951 con la partecipazione di Belgio, Olanda, Lussemburgo e Italia, i sei paesi fondatori del processo di integrazione europea. La strada fatta a partire da quella decisione è stata lunga e fruttuosa, in primo luogo nel numero di paesi coinvolti (ad oggi 27, ma altri si stanno preparando, inclusa l’Ucraina). Fra i 27, tutti i paesi del cosiddetto “Est europeo”, che avevano sofferto sotto l’egemonia sovietica e che, quando questa è caduta, hanno trovato un porto sicuro nell’Unione Europea. Ma il progresso è anche avvenuto nelle aree di integrazione, che sono diventate numerosissime: il mercato comune, la gestione comune delle risorse agricole, della moneta e del settore finanziario, dei progetti di sviluppo locale, la messa in comune dei rapporti economici con altri paesi, l’estesa condivisione delle innovazioni e la comune reazione alle crisi di varia natura che ci hanno colpito (Covid, crisi ambientale ed energetica, guerra in Ucraina).

È vero che la Federazione auspicata da Schuman e con lui da tanti altri europeisti non si è ancora realizzata e altre aree di integrazione ancora stentano a prendere forma (si veda per tutte il problema migratorio), ma Schuman aveva previsto questo. Ricordiamoci che quando gli americani nel 1776 introdussero la federazione fra i loro 16 stati, la popolazione che l’approvò era di 4 milioni di abitanti, mentre nell’Europa a 27 oggi siamo 450 milioni circa, con alle spalle una storia millenaria delle nostre nazioni e tanti diversi linguaggi. Non abbiamo dunque fretta, continuiamo sulla strada della “solidarietà nei fatti” lanciata da Schuman e teniamoci questa nostra Europa che, nonostante le sue opinioni diverse e le sue infinite discussioni, è diventata un bastione mondiale di pace e collaborazione, in cui molti desiderano vivere.

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